Andrea Orsini, a lungo parlamentare e oggi capogruppo di Forza Italia in commissione Esteri alla Camera, è colpito dal tenore della tensione a sinistra intorno a un tema diventato intoccabile, la condanna dell’antisemitismo.

Onorevole Orsini, è possibile che una legge contro l’antisemitismo diventi divisiva? Non dovrebbe essere un terreno comune?
«È la triste realtà del mondo in cui stiamo vivendo. Non voglio esagerare, voglio usare le parole con senso di responsabilità: non voglio dire che nel PD ci siano antisemiti, mi auguro non sia così e spero davvero che non sia così. Ma voglio dire che la barriera morale contro l’antisemitismo, quella che per molto tempo impediva di mettere in discussione questo concetto, sembra essere crollata. La tremenda vaccinazione della storia dopo Auschwitz, che aveva per decenni impedito di strumentalizzare o prendere sottogamba l’antisemitismo, non regge più».

Che cosa è cambiato, secondo lei?
«L’interesse a demonizzare Israele ha portato molti a fare qualunque cosa. In molti casi sono stati amministratori locali del PD quelli che hanno voluto assegnare a Francesca Albanese cittadinanze onorarie. Alcuni se ne sono pentiti, ma non tutti. E soprattutto non esitano più a giocare con un concetto che avrebbe dovuto restare una barriera morale assoluta. Non lo è più. È un cambiamento culturale molto grave. Qualcuno ha scritto che gli italiani, dopo la guerra, hanno fatto i conti con il fascismo ma non con l’antisemitismo, pensando che dirsi antifascisti bastasse. Non è così».

In che senso?
«Si è pensato di storicizzare l’antisemitismo come un fenomeno circoscritto a un’epoca, a un regime. Purtroppo non è così. La Shoah è un evento unico e irrepetibile, ma l’antisemitismo non è solo la Shoah. È una serie di atti quotidiani, una violenza concettuale spaventosa. Il fatto che molti miei amici ebrei non abbiano più il coraggio di andare per strada con la kippah; il fatto che si arrivi a imbrattare la lapide di Stefano Gay Taché, un bambino di due anni ucciso dall’OLP… tutto questo è ripugnante. E ciò che mi ha più colpito è la debolezza delle reazioni: avrei voluto un moto di indignazione generale, non l’ho sentito. Sono segnali gravissimi: un demone sta uscendo dall’inferno».

Veniamo alla proposta Delrio: la convince?
«Non l’ho ancora esaminata integralmente, ma conosco il contenuto e soprattutto l’aspetto contestato: l’introduzione della definizione di antisemitismo adottata dall’International Holocaust Remembrance Alliance. È la stessa che il Parlamento Europeo ha fatto propria, e che il governo Conte – il Conte II – aveva sostenuto, sia pure in termini politici. Ora il PD non ha più nemmeno il coraggio di rivendicare il suo stesso governo pur di polemizzare con Israele. Ed è falso che quella definizione impedisca di criticare Israele: sostenerlo è pura mala fede. Quella definizione considera antisemita paragonare Israele ai nazisti. E mi pare ovvio che lo sia: è un’idea blasfema».

Forza Italia e il centrodestra potrebbero votare quella legge o insisteranno sul loro ddl?
«Noi abbiamo già diverse proposte sul tema. Io spero che, su una questione del genere, si possa convergere tutti. La lotta all’antisemitismo non può essere un valore di una parte. L’antisemitismo è un’insania contro cui deve muoversi la coscienza dell’intera collettività nazionale. Guai a chi antepone tatticismi o strumentalizzazioni politiche: qui è in gioco un problema morale, non politico».

D’altronde lo stesso Pd aveva contestato uno dei suoi fondatori, Piero Fassino, per aver parlato alla Knesset…
«È gravissimo perché Fassino non ha fatto nulla di ciò di cui viene accusato. Le sue posizioni sono persino diverse dalle mie: io ho sostenuto l’azione di Israele, pur dissentendo su alcuni punti; lui ha sempre richiamato la prospettiva dei due Stati e la necessità di costruire uno Stato palestinese. Su questo io stesso sono d’accordo, anche se sarei molto più prudente di lui in questa fase storica. Ma il solo fatto di essere venuto in Israele e di aver detto una cosa ovvia – cioè che Israele è una democrazia – è diventato un problema nel PD».

Laura Boldrini ha detto: “C’è ancora qualcuno che dice che Israele è una democrazia?”
«E lo dice l’ex presidente della Camera! Io la stimo per la sua passione ideale, l’ho sempre detto, ma è una passione che troppo spesso la conduce a fare affermazioni infelici. E questa, francamente, lo è».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.