Il discorso di Bibi
Palestina, il ruolo della Cina e il pressing per il cessate il fuoco. E l’Anp vuole entrare nei Brics
La partita della questione palestinese è complessa e non riguarda soltanto quella singola area geografica. All’interno della cornice della guerra a Gaza e della sfida “su sette fronti” del premier israeliano Benjamin Netanyahu contro l’Iran, si annidano infatti altre questioni. Elementi strategici e geopolitici che si uniscono ad altri dossier e ad altre lotte. Su tutte, quella che vede protagonista la Cina. Pechino, infatti, non ha mai dimenticato il Medio Oriente, quello che per lei è l’estremo ovest del blocco asiatico. E gli interessi cinesi si sono spesso affacciati, a volte in via indiretta, nel complesso intreccio della guerra di Israele.
Il Dragone viene spesso visto come colui che sta aiutando l’Iran a ripristinare le proprie forze o che ha evitato il tracollo della Repubblica islamica dopo la guerra dei 12 giorni con lo Stato ebraico. Altri hanno messo nel mirino i rapporti energetici tra Pechino e Teheran. Qualcuno ha poi puntato il dito sui possibili legami tra gli Houthi dello Yemen e alcune aziende cinesi, impegnate nel fornire alla milizia sciita immagini satellitare ma anche componenti per i droni. E infine, da tempo la Repubblica popolare sta aumentando il pressing su Israele per un immediato cessate il fuoco a Gaza e per la nascita di uno Stato palestinese con la Striscia e la Cisgiordania. Tanto che di recente, proprio il ministro degli Esteri Wang Yi ha affermato che la Cina “ha sempre sostenuto fermamente la giusta causa del popolo palestinese per ripristinare i suoi legittimi diritti nazionali”.
Un ruolo, quello cinese, confermato anche dalle mosse dell’Autorità nazionale palestinese, che proprio in questi giorni ha evidenziato il suo interesse a entrare nei Brics, il blocco dei Paesi emergenti che ha proprio in Pechino il suo centro nevralgico. All’agenzia di stampa russa Ria Novosti, l’ambasciatore palestinese in Russia, Abdel Hafiz Nofal, ha confermato che il suo governo ha “presentato la domanda”. “Ritengo che la Palestina parteciperà all’associazione come ospite fino a quando le condizioni non le permetteranno di diventare un membro a pieno titolo. Non abbiamo ancora ricevuto risposta”, ha detto l’ambasciatore. Parole che sono state seguite a stretto giro dalle dichiarazioni del portavoce del ministero degli Esteri cinese, Guo Jiakun, secondo cui Pechino vede “con favore” la richiesta di Ramallah. “Accogliamo con favore la partecipazione di partner affini alla cooperazione dei Brics, per promuovere insieme l’ordine internazionale verso una direzione più giusta ed equa”, ha affermato il funzionario cinese. Un allineamento che non sorprende e che anzi conferma la posizione di Xi su uno dei temi più scottanti dell’agenda mondiale. Per la Repubblica popolare, l’eventuale Stato palestinese ha già le porte aperte nel blocco composto dalla Cina, ma anche da India, Russia, Brasile, Sudafrica, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Iran e Indonesia. E il segnale, a questo punto, appare chiaro. Ramallah, in qualsiasi caso, avrà bisogno di investimenti enormi. E in un periodo di progetti di ricostruzione e di idee sul futuro finanziamento di Gaza e non solo, l’ingresso nei Brics diventa non solo un ombrello economico, ma anche politico.
Una scelta che però conferma, ancora una volta, il rischio di una spaccatura tra Israele e Cina. Due Paesi partner che ultimamente hanno vissuto una vera e propria escalation diplomatica. A metà settembre, di fronte a una folta delegazione di rappresentanti politici statunitensi, Netanyahu ha accusato la Cina e il Qatar di mandare avanti una campagna sui media occidentali per “assediare” Israele e colpire il sostegno dei suoi alleati. Pechino ha risposto con una nota dell’ambasciata a Tel Aviv dicendosi “scioccata dalle dichiarazioni del leader israeliano”. “L’affermazione è infondata, mina le relazioni Cina-Israele ed è qualcosa che preoccupa profondamente la Cina e a cui si oppone fermamente” ha affermato la rappresentanza del gigante asiatico in una nota. Ma l’impressione è che la partita sia tutt’altro che conclusa. Netanyahu, preoccupato dall’isolamento occidentale e da parte dei Paesi arabi, ha bisogno di blindare in tutti i modi il rapporto con l’amministrazione Trump, che ha già sfidato la Cina con i dazi. Mentre a oriente, Israele guarda da tempo con grande attenzione agli investimenti dell’India, che vede a sua volta nello Stato ebraico non solo un partner fondamentale sul piano strategico, ma anche un pilastro di quel corridoio economico che deve unire Nuova Dehli all’Europa meridionale. E proprio via Israele.
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