Il 28 gennaio 1998, alle ore 20,25 Marco Pannella veniva udito dalla “Commissione Parlamentare di inchiesta sul terrorismo e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi”, audizione che proseguiva il successivo 18 febbraio (l’audio è reperibile negli archivi di Radio Radicale). Nelle circa sette ore di audizione, Pannella effettuò una ricognizione vivace, non convenzionale e talvolta provocatoria, della storia dell’Italia degli anni ’70, con particolare riferimento a temi che hanno segnato la vita politica e finanche istituzionale del nostro Paese.

Così il riferimento agli esordi della loggia P2, che iniziò evocando la primogenitura di un’iniziativa politica: “È il 1976, siamo quattro, conosciamo poco i servizi, i poteri, eccetera. Nel 1979 finisce quella legislatura, otteniamo con grande fatica una prima risposta, ma il Partito comunista (parlo quindi del grande interlocutore) non presenta, almeno fino al 1978 (non so se nell’ultimo anno lo abbia fatto), una sola interrogazione su Licio Gelli. È un’atmosfera…”. Una diversità, quella Radicale, rivendicata con orgoglio: “c’era una vicenda, in quegli anni, favolosa: il cosiddetto «emendamento ammazzadebiti», di cui Gelli garantì il funzionamento, che salvò tutti gli editori italiani; gli unici oppositori siamo stati noi, non «Il Manifesto» e non altri”.
Non meno icastica fu la ricostruzione di un altro gravissimo episodio che non è rimasto nella memoria collettiva e che pochi ricordano: la morte del Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri Mino, deceduto nel 1977 in un incidente che Pannella ha sempre sostenuto essere di natura dolosa: “ho sempre parlato dell’assassinio del comandante generale dell’Arma dei Carabinieri; sono quindi esattamente vent’anni e due mesi che lo faccio. Io l’ho detta ai primi di novembre del 1977 in Parlamento – è agli atti – nonché alla radio ed ai congressi. Mi si diceva: «Ma come, tu sei il radicale amico del comandante generale e vai a dire queste cose?».

Sul “caso Moro” Pannella mise in relazione il rapimento dello statista democristiano con quello, avente miglior sorte, del giudice D’Urso, con il proposito di dimostrare che Moro poteva essere salvato: “in Transatlantico, non in un angolino, all’arrivo della prima lettera del collega Moro, dinanzi a quaranta parlamentari, giornalisti, eccetera, mi scontro con un carissimo amico che adesso non c’è più, Antonello Trombadori. Quando affrontiamo l’argomento – sono tutte cose già dette e raccontate in sede parlamentare e quindi possiamo controllare se la mia memoria è fedele – mi dice: «Ma come, decine di migliaia di contadini analfabeti hanno taciuto davanti alle torture dei tedeschi e questo qui già molla? Se esce, se si salva, è la sua fine».
La sintesi del ragionamento di Pannella sugli esiti del rapimento Moro, ancora oggi, sollecita di ripensare quella parte di storia d’Italia: “anche sul caso Moro ritengo che occorrerebbe comprendere la ragione di quella strage (c’è anche la ragione di quella strage); sono chiarissimi – Leonardo Sciascia li aveva letti, ma non tutti – i messaggi arrivati allo Stato dall’interno delle BR, i quali dicevano che si stava per «beccare» Moro, che stava per accadere qualcosa e che dovevano impedirlo. Gli interlocutori probabilmente erano coloro che lo volevano provocare”.

Non manca il riferimento alla morte di Giorgiana Masi ed alle responsabilità politiche che la determinarono: “il Governo propone un decreto-legge con il quale si sospende il diritto costituzionale di manifestazione a Roma (non di volta in volta, ma si sospende il diritto). Si arriva al pomeriggio del 12 maggio e alle tre, dinanzi al Senato, il dottor Improta grida a Pinto, a Mellini, a me e a deputati che stanno lì: «Già hanno sparato a due dei nostri! …le direzioni dei giornali vietarono – lo documentammo – di pubblicare le foto che avevano: avevamo l’agente Santone il quale con pistole sparava da Campo de’ Fiori nei confronti delle forze dell’ordine che si trovavano tra San Pantaleo fino a piazza della Cancelleria. L’episodio di Giorgiana Masi è accaduto alle 20.00; può essere stata una cosa non voluta o niente affatto controllata. Quando però alle 20.15 ho telefonato al Presidente Ingrao per dirgli che era morta una ragazza, ho sentito la sua voce dire: «Dio santo, Dio santo! Allora avevi ragione».
Rileggere Pannella e ossigenarsi respirando il rigore morale del suo impegno politico incessante e mai venuto meno sino alla morte: “Io sono ormai molti decenni che sono impegnato, più spesso sui marciapiedi che nelle istituzioni – ma anche nelle istituzioni – con quella che Simone Weil diceva essere sinonimo dell’amicizia e dell’amore: la «costanza dell’attenzione». Credo che rispetto alla storia del mio paese, alla storia del mio tempo e della mia società forse avrei dovuto farlo con molto più di questa, ma la costanza dell’attenzione vi è stata e mi anima tuttora”.

Mario Taddeucci Sassolini

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