Il cambiamento di questi ultimi decenni, determinato dai processi di globalizzazione e digitalizzazione, può essere definito “epocale”? Non tutti i cambiamenti possono essere definiti tali. I cambiamenti possono rappresentare infatti semplici miglioramenti, talora anche radicali, di un sistema o possono invece rappresentare il salto a un sistema nuovo e diverso. In questo secondo caso, si può parlare a pieno titolo di nuova epoca.

Ad esempio, i cambiamenti degli anni sessanta, col movimento hippie e il femminismo, hanno generato cambiamenti radicali del modo di pensare, ma non si può dire che abbiano dato vita a una nuova epoca. Infatti, si é autorizzati a parlare di nuova epoca quando cambiano i rapporti non solo fra gli individui, ma anche fra ogni individuo e la società nel suo complesso. La rivoluzione industriale, sostanzialmente abilitata dall’invenzione della macchina a vapore, rappresenta uno di questi casi, quella sì generò una nuova epoca: nacque la distinzione fra capitale e lavoro, nacque la figura del lavoratore dipendente, nacque la catena di montaggio. Ciò favorì l’insorgere di nuove teorie fra cui quella marxista. Questo cambiamento epocale portò con sé nuovi paradigmi e nuovi linguaggi. Chi non comprese e continuò a far finta di vivere in una società contadina/artigianale, ha dovuto rassegnarsi a una vita da reduce.

Il cambiamento in atto nel nostro tempo, é epocale almeno quanto quello indotto due secoli fa dalla rivoluzione industriale e probabilmente di più, eppure sembra che non ce ne si renda pienamente conto. Perché? Perché, anche se la chiamiamo (in questo caso erroneamente)“rivoluzione”, in effetti questo tipo di cambiamento non si genera da un giorno all’altro, impiega un bel po’ di tempo a sedimentare e a pervadere le coscienze: la cosiddetta rivoluzione industriale, ad esempio, ci mise quasi un secolo per affermarsi pienamente.

Sta di fatto che anche la nuova epoca 4.0 che sta sedimentando sotto i nostri piedi, per essere compresa e vissuta consapevolmente, richiede nuovi paradigmi e nuovi linguaggi. Non c’è ambito o contesto che non richieda nuovi paradigmi e nuovi linguaggi. É così, ad esempio per l’ambito economico e i contesti aziendali, é così per l’ambito politico e i contesti partitici. Le imprese che continueranno a utilizzare i vecchi paradigmi, sono destinate all’estinzione. Altrettanto vale per le forze politiche che scegliessero di continuare a vivere in un novecento immaginario.

Come sta cambiando l’ambito politico? Così come la rivoluzione industriale determinò l’insorgere del marxismo, il cambiamento in atto nel nostro tempo, ha determinato l’insorgere del neo-populismo. Le tesi neo-populiste hanno l’effetto di alleviare gli individui dal senso di frustrazione perché li sollevano dal peso della responsabilità nella gestione del cambiamento, convincendoli che in fondo tale cambiamento é riconducibile a un complotto dei poteri forti ai danni del popolo. Questa narrazione ha un notevole appeal, anche perché convince chi la fa propria, di essere in fondo un ribelle che non si assoggetta al “pensiero unico” dell’establishment. Questa tesi ha finito per associare quelle che un tempo erano visioni diverse: il conflitto destra/sinistra effettivamente oggi si consuma nell’ambito di una stessa concezione neo-populista e il fenomeno sempre più evidente del rossobrunismo, ne é plastica dimostrazione. Per questo nel pamphlet politico che ho pubblicato ormai più di un anno fa, ho utilizzato il termine bi-populismo.

Ritengo del tutto inadeguato e direi proprio antistorico, pensare che l’alternativa al bi-populismo possa essere rappresentata dalla sinistra riformista o dalla buona destra. No, la narrazione alternativa a quella bi-populista deve essere non solo trasversale, ma nascere “oltre” lo schema destra/sinistra. Non un “centro” come punto di equilibrio fra destra e sinistra, ma semmai come catalizzatore di un pensiero nuovo, oltre il vecchio schema. Non un’area moderata, ma semmai immoderatamente innovatrice. Ciò comporta un grande sforzo generativo, di elaborazione di tipo ideale da parte degli innovatori del nuovo tempo. Ma invece, a quanto vedo, si preferiscono le scorciatoie, così si finisce per adottare paradigmi e linguaggi vecchi che non abilitano una narrazione nuova.

É il caso di chi pensa che l’alternativa al bi-populismo possa nascere mettendo insieme vocazioni politiche della vecchia epoca, così si finisce per auspicare l’alleanza dei reduci del passato, composta da riformisti, liberali, popolari, e (perché no?) radicali con un pizzico di repubblicani. Ma sì dai, chi più ne ha più ne metta. In sostanza, c’è chi pensa di competere col bi-populismo, contrapponendogli una selva di polverose sigle della vecchia epoca. Altri scelgono una proposta più tecnocratica: l’alternativa al bi-populismo sarebbe in questo caso riscontrabile nella serietà delle proposte e nella competenza di chi le avanza. Così abbiamo gli autonominati seri competenti che guidano la riscossa delle coscienze. Questa proposta, oltre ad apparire altrettanto debole, rispetto alla precedente suona anche più antipatica. Poi ci sono quelli convinti che sia sufficiente fare un po’ di battute, normalmente poco divertenti, sui populisti di destra e di sinistra, come se bastasse denigrare la narrazione altrui per affermare la propria, quando la propria é magari riconducibile alle ormai esaurite esperienze della sinistra riformista. Anche il richiamo che taluni intellettuali di prim’ordine fanno al liberalismo classico, appare a mio giudizio del tutto insufficiente. Certo, é vero, in Italia negli ultimi decenni si é affermata una falsa dinamica “centrodestra verso centrosinistra” e non quella dinamica ben più ricca che in altri paesi europei ha visto confrontarsi le tre famiglie politiche classiche: socialdemocratica, popolare, liberale. Ma questa sacrosanta battaglia avrebbe avuto un senso trent’anni fa, oggi appare inattuale, anche perché, diciamolo, anche la parola “liberale”, pur essendo la più nobile e “moderna” tra tutte, ha perduto gran parte del suo significato originario e comunque appartiene ai paradigmi della vecchia epoca e non é più in grado di scaldare i cuori.

E allora? Allora bisogna partire da un foglio bianco, scevri di ogni condizionamento passato, oltre ogni steccato dell’epoca passata e mettersi al lavoro per generare una narrazione nuova e alternativa. Non so da cosa possa essere rappresentato l’evento generativo, magari avverrà anche un po’ per caso o forse qualcuno convoglierà delle energie in tal senso. So che bisogna mettersi al lavoro, nella consapevolezza che non si sarà seguiti da quei vecchi compagni di strada che preferiranno permanere nei vecchi steccati di un tempo, ma in compenso avremo nuovi compagni di strada, magari neofiti o un tempo avversari. Ci vuole coraggio, ci vuole fantasia, ci vuole apertura mentale. Difficile? Sì. La strada fa però meno paura se la si guarda un passo per volta. Quale può essere il primo passo? Da dove cominciare? Partiamo dalle parole, quelle da archiviare e quelle da far assurgere a emblematiche di una narrazione alternativa. Senza un nuovo linguaggio, ogni proposta é debole, anzi, é vana.

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Esperto di leadership e talento, ha pubblicato diversi saggi con Sperling & Kupfer, Guerini e Feltrinelli, alcuni dei quali tradotti in più lingue fra cui il coreano e il giapponese. In qualità di executive coach, ha formato centinaia di manager dei principali gruppi industriali italiani e ha lavorato al fianco di alcuni fra i più affermati allenatori di calcio e pallavolo.