Papa Francesco respinge le dimissioni del cardinale Marx, arcivescovo di Monaco, annunciate pubblicamente il 4 giugno. Altrettanto pubblicamente attraverso la Sala Stampa della Santa Sede, ieri è stata diffusa la lettera di risposta del Papa. Che contiene anche una bacchettata al cardinale. «Tutta la Chiesa è in crisi a causa della vicenda degli abusi» ma «la Chiesa oggi non può fare un passo avanti senza assumere questa crisi» perché «la politica dello struzzo non porta da nessuna parte, e la crisi deve essere assunta dalla nostra fede pasquale. I sociologismi e gli psicologismi sono inutili». Dunque secondo Papa Francesco la soluzione è di «assumere la crisi, personalmente e comunitariamente, l’unica via fruttuosa perché non si esce da una crisi da soli ma in comunità».

Tuttavia – aggiunge sempre il Papa rivolgendosi al cardinale – «sono d’accordo con te nel descrivere la triste storia degli abusi sessuali e il modo in cui la Chiesa l’ha affrontata fino a poco tempo fa come una catastrofe. Rendersi conto di questa ipocrisia nel modo in cui viviamo la nostra fede è una grazia, è un primo passo che dobbiamo fare. Dobbiamo farci carico della storia, sia personalmente che come comunità. Non possiamo rimanere indifferenti di fronte a questo crimine. Accettare significa mettersi in crisi». La diagnosi è chiara, la soluzione meno e in ogni caso le dimissioni sono respinte facendo ricorso a un esempio evangelico. «Se sei tentato di pensare che, confermando la tua missione e non accettando le tue dimissioni, questo Vescovo di Roma (tuo fratello che ti ama) non ti capisce, pensa a quello che Pietro ha provato davanti al Signore quando, a modo suo, ha presentato le sue dimissioni» presentandosi come un peccatore e si è sentito rispondere “Pasci le mie pecorelle”. Il riferimento è al capitolo 21 del Vangelo di Giovanni, nel dialogo tra Gesù e Pietro.

Ma quali sono i rimedi rispetto alla crisi? Qui la lettera tace, limitandosi a una osservazione che di fatto investe i vescovi in prima persona e meno la Chiesa come istituzione. Dice infatti il Papa: «Le situazioni storiche devono essere interpretate con l’ermeneutica del tempo in cui sono accadute, ma questo non ci esime dal prenderle in carico e assumerle come la storia del ‘peccato che ci assedia’. Perciò, secondo me, ogni vescovo della Chiesa deve assumerlo e chiedersi: cosa devo fare di fronte a questa catastrofe?». Una serie di affermazioni, queste ultime, destinate a provocare qualche contraccolpo. Nel comunicato in cui annunciava le dimissioni, il cardinale Marx parlava di una crisi “sistematica”.

Il gesuita tedesco Zollner – che sugli abusi è il massimo referente della Chiesa – in appoggio al cardinale Marx ha definito gli abusi una crisi “sistemica”. Nelle frasi del Papa non c’è traccia di questa visione, che pure sarebbe l’unica in grado di affrontare il problema. Perché la crisi è nelle persone e nelle strutture, che pure sono costituite da persone, in un intreccio molto forte. I segnali di una crisi sistemica ci sono da diversi anni, bastava prendere coraggio e leggerli. Invece si continua come se nulla fosse: i problemi gestionali non si affrontano, la crisi delle vocazioni non comporta un maggiore spazio ai laici, la leadership è sempre per scelta dall’alto e mai per “sinodalità” cioè coinvolgimento di tutte le componenti ecclesiali, le capacità reali delle persone non si valutano né valorizzano. Anzi, al contrario, si clericalizza ancor di più perché essere prete è una garanzia (usato sicuro?).

Tra chiese locali e Vaticano il dialogo è sempre molto difficile. La formazione del clero è rimasta a 50 anni fa. Gli abusi sembrano incidenti di percorso, ci si arrovella su cambiamenti canonici invece di dire chiaro e tondo che si tratta di crimini da perseguire. Le giurisdizioni – canonica e tribunale civile – si sovrappongono, si confondono, non si capisce bene chi debba fare cosa. La crisi è “sistemica” per scarsa capacità di coinvolgere le persone nelle scelte e nelle decisioni di governo; tutto arriva dall’alto. Si sbaglia la scelta delle persone perché i criteri sono opachi. “Sistemica” non è una parola ad effetto. Fa riferimento alla teoria dei sistemi che attraversa diverse discipline fino ad arrivare alla psicologia. E va integrata con il costruttivismo cioè con la raffinata analisi dei modi in cui costruiamo la nostra realtà e visione del mondo.

Considerare tutta la Chiesa come un “sistema” significa attuare quello che peraltro lo stesso Papa Francesco dice quando sottolinea che “il tutto è superiore alle parti”. Lo dice ma è difficile metterlo in pratica. E i risultati si vedono. Il punto di partenza degli abusi è una crisi nella formazione, nei metodi di governo, nel prevenire e prevedere, nel riparare rapidamente gli errori e riflettere su cause, conseguenze, soluzioni possibili. Chi fa riferimento al pensiero sistemico ha una marcia in più nello stare al passo con le situazioni. Se i preti venissero a conoscenza di questi aspetti – Zollner per primo dovrebbe saperlo, in una Facoltà di Psicologia come quella della Gregoriana in cui lavora – forse si comincerebbe ad avere strumenti per riflettere e intervenire.

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Giornalista e saggista specializzato su temi etici, politici, religiosi, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato, tra l’altro, Geopolitica della Chiesa cattolica (Laterza 2006), Ratzinger per non credenti (Laterza 2007), Preti sul lettino (Giunti, 2010), 7 Regole per una parrocchia felice (Edb 2016).