Il patto tra generazioni
Pensioni, psicosi sul mancato pagamento. Ma è la speranza di voti a saccheggiare la previdenza
Negli anni in cui ho avuto l’onore (e l’onere) di guidare l’Inps ho sempre ripetuto, con convinzione che non c’era il pericolo che le pensioni non venissero pagate. Non c’è stato questo pericolo, e oggi posso ribadire che non ci sarà mai: è un’obbligazione dello Stato nei confronti dei cittadini, cui si può venire meno solo nel caso di una bancarotta pubblica. Un default finanziario, che, per fortuna, non mi sembra alle viste. E non era alle viste nemmeno quando, qualche anno fa, si sventolavano allarmi persino eccessivi. E non solo perché l’Italia – a differenza della Grecia – era ed è “too big to fail” (troppo grande per fallire), ma anche perché ancora il sistema, con qualche sfrangiatura, resiste ed è stato messo in sicurezza dalle riforme previdenziali vigenti.
Previdenza, uno sguardo al futuro
Questo ci consente di distogliere lo sguardo dal futuro? No. La crisi demografica e il conseguente nuovo welfare che dovrà regolare i servizi e i sussidi per i prossimi anni, imporranno nuove soluzioni, con il rischio di disallineare quel patto generazionale che era ed è alla base del sistema previdenziale a ripartizione. Per questo non sono ammesse distrazioni, soprattutto tra i decisori. Di ieri e di oggi. E di domani. Anche per questo mi sembra che il fronte dell’assistenza – più che quello squisitamente previdenziale – sia il vero fianco debole del welfare italiano, e forse europeo. Quando si legge che la Gias (gestione interventi assistenziali) riceve più di 180 miliardi dal Fisco, nel 2024, e nessuno ne fa oggetto di riflessione, vuol dire che c’è un problema.
Il peso della Gias
La Gias è un fondo dell’Inps, deputato a erogare (quindi pagare) tutte quelle prestazioni prive di contribuzione, cioè la pura assistenza finanziata dalla fiscalità generale. Quando lasciai l’Inps, nel 2014, la Gias pesava per poco più di 90 miliardi. Nell’ultimo rapporto dell’Inps, dati 2024, siamo a oltre 180 miliardi. Il doppio in dieci anni. Metà di questa montagna di denaro nel 2024 è andata in “oneri previdenziali”, cioè per pagare pensioni “sociali”, cioè non coperte dalla contribuzione previdenziale obbligatoria, e da tutte le forme di scivoli che da decenni si inventano per anticipare la pensione degli italiani (di alcuni italiani), cercando il loro favore elettorale. Sarò un po’ semplicista, ma lo scambio è questo: soldi pubblici, in cambio di voti. Anzi, in cambio si speranza di voti.
È la speranza di voti a saccheggiare la previdenza
Il calcolo della speranza di vita dovrebbe blindare i costi della previdenza; la speranza di voti la saccheggia. Ora che ci avviciniamo alla definizione della prossima Legge di Bilancio ci dovremmo aspettare una ricetta di rigore – magari non come quella scritta dal governo francese dimissionato dal Parlamento – che metta sotto controllo dei numeri, che sembrano sul punto di andare fuori controllo. L’oculatezza dimostrata dal nostro titolare del Mef, Giancarlo Giorgetti, ha certamente incassato una considerazione generale dei mercati che ha fatto regredire progressivamente lo spread, con beneficio del bilancio, sgravato da qualche peso da interessi passivi. Ma in forza di questa oculatezza sarebbe lecito aspettarsi non tanto un “grido di allarme” (i conti dell’Inps, così come quelli dello Stato, sono in ordine) ma un segnale di attenzione. Possibile che i trasferimenti pubblici per le diverse forme di assistenza (sia quella che erogava generosi e non sempre dovuti assegni di reddito di cittadinanza, sia quella che continua a pagare i benefici di lavoratori fatti scivolare fuori dal lavoro anzitempo, ma a carico dello Stato) non destino qualche preoccupazione?
I conti da fare
Al titolare del Mef è sempre toccata l’ingrata missione di abbassare gli appetiti dei ministri responsabili dei dicasteri di spesa, assumendo atteggiamenti antipatizzanti, ma salutari. Il medico troppo accondiscendente non fa il bene del malato. Ora, qualche sintomo di malattia non può non essere intravisto in questa esplosione di costi sociali documentata dall’Inps. Più del 10% del Pil viene impiegata per l’assistenza. Intendiamoci, da questo conto è esclusa la sanità! Ce lo possiamo permettere? E ancora: ce lo possiamo permettere senza aumentare la pressione fiscale? Il sistema del welfare non è un carciofo che si possa sfogliare senza ritrovarsi poi in gravi difficoltà con le spine. E caricare questi problemi sulle generazioni future, senza nemmeno aprire un confronto e senza dichiarare il problema, non è un approccio da statisti.
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