Sarkò potrebbe davvero finire in galera. Non subito, perché c’è ancora un grado di appello. Ma il vecchio Presidente della Repubblica francese che aveva condiviso con la Merkel il famoso sorrisetto di commiserazione nei confronti di Silvio Berlusconi caduto allora in disgrazia, è stato riconosciuto colpevole di corruzione e traffico d’influenza. La procura aveva chiesto quattro anni, la sentenza ne ha comminati tre di cui due condonati. Ma il terzo anno di galera è realistico, anche se non definitivo. È stato comunque un processo basato “sur les écoutes” cioè le intercettazioni sul suo telefono privato, specialmente quelle riservatissime con il suo avvocato privato, ora suo coimputato, anche lui condannato. Nicolas Sarkozy è il secondo ex Presidente della Repubblica accusato e giudicato colpevole, dopo Jacque Chirac che nel 2011 che subì una condanna a due anni per una gestione di fondi pubblici, sentenza contro cui Chirac scelse di non ricorrere perché preferiva «rimettersi al giudizio dei francesi».

È un momentaccio per tutta l’élite dei governi europei che hanno guidato le grandi nazioni dopo la fine della guerra fredda, considerato che la Spagna ha un re sotto inchiesta (e un cantante rap in galera per oltraggio alla casa reale), Angela Merkel affronta una accusa penale per la gestione dei vaccini e quanto a quel che accadde in Italia con Berlusconi è storia recentissima. Le accuse contro Nicolas Sarkozy riguardano una faccenda di processi nati da altri processi, accusato adesso di aver “tentato di ottenere” da un magistrato, Gilbert Azibert, informazioni segrete sul proprio conto, sulla sua posizione in processi precedenti. Il fatto è che i processi a Sarkozy sono matrioske che hanno come peccato originale l’affare libico, quando si scoprì che Muammar Gheddafi aveva finanziato la campagna elettorale del presidente francese del 2007, circostanza che imponeva una interpretazione della furia con cui Sarkò aveva promosso una crociata militare internazionale contro il dittatore libico, crociata che si concluse con l’eccidio di Gheddafi in circostanze atroci e disumane. Sarkozy fu accusato di essersi sbarazzato di un testimone scomodo e di aver promosso un’azione armata cui si accodarono anche gli Stati Uniti di Barak Obama, allo scopo di seppellire le tracce del suo losco legame con il dittatore libico che aveva in mano un punto di forza per ricattarlo.

Ieri Sarkozy ha ascoltato il verdetto in silenzio, impassibile. Si sa che i suoi avvocati faranno appello dopo aver accusato la procura di aver usato prove inconsistenti fondate sui “si dice” e gli “abbiamo saputo”. La procura ha risposto che «la prova di un patto di corruzione sta nel coacervo di legami, amicizie e atti precisi e concordanti». Con lui sono stati condannati i coimputati, il suo ex avvocato Thierry Herzog e Gilbert Azubert, colpevoli di violazione del segreto professionale. È stata o no una caccia alle streghe? Sì, secondo la difesa di Sarkozy il quale punta ad ottenere la solidarietà di tutta la Francia. Il messaggio che Sarkò spera di far passare attraverso i media amici è questo: il Presidente ha soltanto usato per il bene pubblico i previlegi che la Costituzione della Quinta Repubblica concede al titolare dell’Eliseo per la gestione dei più delicati affari di Stato.

Le cose in Francia non funzionano come da noi: a partire dalla presidenza del generale Charles De Gaulle – chiamato al capezzale di una Quarta Repubblica agonizzante nella crisi coloniale della guerra algerina – “la Republique” è di fatto una monarchia perché il capo dello Stato, come il re, governa attraverso un suo governo con un suo Primo ministro che abita al Matignon. La vita politica di un Presidente francese è costituzionalmente protetta da una serie di privilegi di cui ad esempio non gode un Presidente americano, continuamente esposto ai capricci del Congresso. Sarkozy si è trovato di fronte a un “parquet”, la Procura, molto determinato a limitare ed esporre pubblicamente tali privilegi, attuando di fatto una correzione costituzionale dell’operato del Presidente di cui sono stati passati al setaccio – attraverso le intercettazioni ovvero l’écoute – i rapporti personali, le conversazioni private, i sussurri e le grida dietro le tende del Palais. In Francia, diversamente da quanto accade da noi, la Procure non sono totalmente scollegate dall’amministrazione politica, ma il caso Sarkozy come quello precedente del processo a Chirac dimostra il grado di indipendenza di cui sono capaci.

La sentenza ha provocato finora reazioni contrastanti: troppi “si dice” e troppi “processi alle intenzioni” come aveva sostenuto il suo legale. Lui è uscito dal tribunale in silenzio, ingrigito per i suoi 66 anni, ma dai suoi descritto come “pronto a combattere”, ma tutti i commentatori sono concordi nel dire che i sospetti sull’ex presidente sono cominciati a partire dall’affaire libico con Gheddafi da cui emersero i fondi per finanziare la sua campagna elettorale del 2007. Quando i suoi telefoni vennero messi sotto écoute i giudici scoprirono che il Presidente si serviva di un nom de plume finto, assumendo le sembianze di un inesistente Paul Bismouth, quando parlava con il suo avvocato Thierry Herzog. La ex première dame di Francia, Carla Bruni, non commenta e su di lei si concentrano le curiosità dei social che però non riescono a tirar fuori un ragno dal buco.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.