“Vorrei raggiungere il livello dei vini di Borgogna. Il mio medico dice che vivrò fino a 120 anni: quindi avrò tempo!”. Franz Haas me lo disse l’ultima volta che ci siamo incontrati nella sua cantina di Montagna, la piccola cittadina in provincia di Bolzano, celebre per i suoi vigneti di Pinot Nero. Purtroppo non è andata così. Franz è venuto a mancare domenica 13 febbraio a soli 68 anni, tradito dal suo grande cuore, durante uno dei suoi rari momenti di relax sulle nevi della Val di Fassa, a pochi chilometri dai suoi poderi. Ci lascia una straordinaria impresa e una bellissima storia.

Come comincia l’avventura nel vino
La prima cantina della famiglia risale al 1880. Nel 48 ci fu una lite tra il nonno e suo fratello. Il nonno prende le vigne peggiori. Successivamente sarà il padre a fare causa allo zio. All’inizio Franz non voleva saperne di queste storie di famiglia. “Volevo diventare criminologo”, mi confessa durante la nostra intervista. Comincia a studiare economia e commercio a Innsbruck ma durante il terzo semestre degli studi il padre comincia a stare male e gli diagnosticano solo sei mesi di vita. “Che faccio? Scelgo di iscrivermi a enologia all’università specializzata di Geisenheim in Germania. Erano gli anni 60 e non volevo studiare in Italia. Poi però mio padre conosce un medico particolare che gli dice di cambiare vita per far sparire la malattia. Lui ascolta i suoi suggerimenti e davvero riesce a superare i suoi problemi oncologici. Morirà solo nel 2014 per altre cause”, racconta Franz.

Ma il suo avvicinamento alla vita di viticultore non fu facile né immediato. “Mi sentivo un coglione in Germania. Per fortuna incontro un professore di fisica che mi vuole bene e che mi ha aiutato. Ha scatenato la fiducia nelle mie possibilità. Da quel momento ho studiato come un dannato. Ho studiato con gioia e con piacere, anche sabato e domenica. Abitavo da una parte del Reno e ogni mattina dovevo prendere il treno per andare all’Università. Così stavo in treno e studiavo e studiavo. Quando torno apro un’agenzia di commercio dei vini tra Italia e Germania che va più male che bene. Mio padre era un perfezionista e un rompiscatole. A un certo punto ha perso il contatto con il mondo contemporaneo. Aveva il terrore di cedere le vigne. Io ero considerato la pecora nera della famiglia. Ma alla fine ci siamo accordati e nell’86 ho preso in mano l’azienda. Quando ho cominciato non sapevo nemmeno se i vestiti erano i miei. Non c’erano soldi e ho scombussolato tutto”.

L’incontro Luisa Manna, la moglie
Fondamentale è l’incontro con la donna della sua vita. “Nel 90 ho sposato una donna carismatica di origini napoletane. insieme abbiamo tirato su quel che c’è oggi”, dice con gli occhi pieni di stima e di amore. Lei è Luisa Manna e si occupa delle relazioni esterne dell’azienda. Il vino Manna è stato concepito per lei. “Cercavo un vino che potesse abbinarsi a diversi piatti e dopo tante prove con amici stellati è venuto fuori il Manna, un uvaggio di di uve bianche che si adatta a molti piatti”. Confida: “Nella coppia, io sono l’orso e lei rimette a posto le cose”. E parla dell’ultimo progetto in partenza: “Mia moglie proviene da una famiglia di ristoratori. Aveva un progetto da 15 anni. Finalmente è pronto un piccolo chalet 5 stelle con sede proprio nel paese di Montagna. Il ristorante è affidato a un giovane cuoco che è considerato il migliore in Alto Adige”. Lo chalet è stato inaugurato nel novembre scorso e si chiama, per l’appunto, Manna.

Il ristorante si chiama Luisa Gourmet – ancora una volta nel segno della moglie – ed è il regno dello chef Manuel Astuto che aveva ottenuto dei risultati sorprendenti al ristorante del Parkhotel Laurin di Bolzano. Ma la moglie Luisa è stata fondamentale fin dall’inizio della loro avventura. Racconta Franz: “La famiglia di Luisa aveva origini umili e lavorava nella gastronomia. Arrivano al nord e comprano un ristorante per ristrutturarlo a San Michele all’Adige. Proprio lì hanno l’occasione di incontrare Riccardo Schweizer, pittore, scultore e illustratore di altissimo livello. Luisa ha fatto da modella per lui. Una sera gli chiede per scherzo: ‘fammi un po’ di bozze di etichette per il mio ragazzo’. Schweizer si mette a disposizione e, con una matita bianca sul cartoncino nero del menu del ristorante, realizza quello che diventerà poi il marchio della nostra cantina. Ha fatto per noi una quarantina di schizzi molti dei quali non sono stati nemmeno usati”. E, in effetti, il logo di Franz Haas resta indimenticabile così come i suoi vini e le sue diverse etichette, sempre realizzate dal maestro Schweizer.

 

La lotta contro i tappi di sughero
Ma la vicenda che spiega meglio il carattere di Franz Haas è certamente la sua battaglia contro il tappo di sughero. “Abbiamo vissuto esperienze drammatiche con le industrie sugherarie. Ci prendono in giro: l’85% delle bottiglie sono influenzate dal sughero. A causa di questa chiusura il vino non risulta così come dovrebbe essere. Una volta ho avuto un litigio con un’azienda di tappi. Chiesi al fornitore se avesse un lotto di tappi per fare una mia preanalisi. Gli dissi: ‘se supera l’esame le comprò. Ma dalle analisi del mio laboratorio emerge che il 13,7% delle bottiglie sapranno di tappo. A quel punto blocco l’ordine. Si presentano in quattro a convincermi. Ma non c’è niente da fare. Se un vino sta 10 anni in una bottiglia chiusa con il tappo di sughero prima o poi il difetto emerge”.

La resistenza di Franz è insuperabile. “Proposi a un’azienda di realizzare mille bottiglie piccole chiuse con i loro tappi e di provarle dopo sei mesi. Un giorno finalmente ci sediamo allo stesso tavolo: quattro assaggiatori della nostra cantina e quattro dell’azienda sugheraria. Apriamo cento bottiglie: noi abbiamo criticato 51 bottiglie, loro addirittura 52. Insomma, i produttori di tappi sanno bene qual è il problema”. Ecco perché per Franz esiste solo il tappo a vite. “Non è amato nel mercato italiano, è vero. Fino a qualche tempo fa, dovendo scegliere tra due alternative gli italiani sceglievano il tappo di sughero. Oggi però è ormai accettato”.

 

Il Pinot Nero, un’affinità elettiva
Per fortuna, Franz Haas non sarà ricordato soltanto per il tappo a vite, ma per i suoi vini fantastici. Primo tra tutti il Pinot Nero, di cui lui è stato tra gli interpreti più abili. Un vitigno ostico, sì, ma anche un modello quando si pensa al vino perfetto. Franz conosceva ogni sfumatura di questo straordinario vitigno che, ormai, dopo secoli di storia, in Alto Adige può considerarsi un autoctono: il vigore elevato delle vigne che complica la gestione della chioma, la sensibilità alla botrite, la difficoltà di maturazione fenolica contemporanea nelle bucce e nei vinaccioli, la mancanza di antociani che rende il colore poco stabile, la facilità di accumulo degli zuccheri nell’uva, che riduce il tenore acido nei mosti. Franz Haas si vantava di aver studiato quasi 600 vinificazioni diverse di Pinot Nero. Una competenza enorme che è stata fondamentale nella formazione dei suoi colleghi più giovani, da Andrea Moser a Stefano Tiefenthaler.

In quasi quarant’anni di vendemmie condotte in prima persona, Franz Haas è stato capace di realizzare vini straordinari che si avvicinano molto al suo ideale di vino: quello della Borgogna. “Considero il Pinot Nero il vino più elegante. Per me è diventato un capriccio. Attenzione, però: quest’anno ben cinque testate ci hanno premiato per cinque vini diversi. Una cosa che ci fa piacere perché vuol dire che non siano bravi solo a fare il Pinot Nero”, confessa Franz nella nostra conversazione.

Il vino secondo Franz
Sull’idea di vino aggiunge: “Voglio fare un vino che corrisponda alle mie aspettative. Non farò mai bottiglie per il mercato, tanto lo trovo chi lo compra. Vorrei morire da biodinamico: io mi curo omeopaticamente. I vini biodinamici sono i migliori. Non si può dire lo stesso del biologico. Ma l’espressione: ‘la natura ha fatto tutto’ è un paravento e un imbroglio. Il vino può farlo solo l’uomo: non ci sono vini naturali. Chi dice il contrario è un falsificatore: è una idea errata e tendenziosa. La brett è un difetto, è una mancanza di pulizia. Dico: se il vino ti piace così, bevitelo tu. Perché devo bere una cosa che sa di cacca di cavallo? Se un vino puzza di uovo marcio o di aceto a me non piace! Io voglio un ricordo del frutto originale. Nel bicchiere voglio riconoscere l’uva”.

Nelle vigne di Franz si usano rame e zolfo, “ma in modo che non restino residui. Gli altri fanno anche 20-30 trattamenti, noi al massimo una decina. Lavoriamo in maniera sostenibile. Non cerco le certificazioni, sono solo soldi da spendere. Ho messo su una squadra di professionisti di alto livello per ricavare una uva sana senza contaminazioni. La cantina? È il momento meno importante. Naso, bocca e mani sono necessari per capire come intervenire. In cantina basta il controllo del caldo e del freddo, un po’ di solforosa e di gas inerte. Usiamo acciaio e barrique, abbiamo tolto cemento e vetroresina. Dico no alle anfore: non ne sento la necessità”.

 

La sfida: le vigne sempre più in alto
Il cuore dell’azienda di Franz Haas sta certamente a Montagna, a 400 metri di altezza. “Ma sono alla ricerca di quei terreni che mi danno un plus”, confida. Nel ’99 Franz comincia a sentire gli effetti del cambiamento climatico. Comincia a cercare dei vigneti in altitudine. E, per questo, comincia a scontrarsi con ostacoli politici e burocratici. All’inizio la Camera di Commercio gli vieta di andare oltre i 500 metri. Racconta: “Mi dissero che non si poteva fare. Ma io dissi che l’avrei fatto lo stesso. Loro mi minacciarono: la denunciamo e la facciamo pagare. E io gli risposi che li avrei denunciati a Bruxelles. È finita che ho fatto un vigneto sperimentale dove ho piantato ben 15 vitigni. Ad Aldino tra 750 e 900 metri escono oggi dei vini eccezionali”.

Ma Franz non si ferma qui. Dopo qualche anno le istituzioni lo interpellano di nuovo. “Mi dissero che dovevano riscrivere la legge. Mi chiesero di proporre un limite. Io sparo 1300 metri. La risposta fu no: non ce la fanno passare a Roma per concorrenza sleale, non possiamo andare contro. Alla fine ci accordiamo a 900 metri”. Ma la storia non finisce qui. Franz Haas nel frattempo è arrivato a 1150 metri di altezza con un impianto sperimentale e, quando ne parliamo, spera che il limite per la coltivazione della vigna venga spostato a 1200 metri. Lo spiega così: “In alto, le uve pesano un terzo rispetto a Montagna e le rese sono inferiori. Si possono fare grandi vini e io voglio competere con la qualità”. La storia, la fame di innovazione e gli obiettivi altissimi restano anche dopo la scomparsa di Franz. Li porteranno avanti i suoi figli: Franz (stesso nome dinastico del padre, sarà l’ottavo a portarlo) e Sofia.

Journalist, author of #Riformisti, politics, food&wine, agri-food, GnamGlam, libertaegualeIT, Juventus. Lunatic but resilient