USA
Quell’attentato a Palm Springs passato in secondo piano: l’estremismo è ancora filosofia morale
Un recente attentato terroristico avvenuto a Palm Springs, in California, a cui in Italia non si è dato molto risalto, non è soltanto un fatto di cronaca nera locale, ma è un elemento di novità che dovrebbe essere recepito nel nostro modo di concepire il terrorismo. Il 17 maggio 2025, una bomba artigianale è esplosa davanti a un centro per la natalità e la fecondazione assistita, ferendo quattro persone e uccidendo l’attentatore, Guy Edward Bartkus.
La scena sembra quella dei tanti episodi di terrorismo interno, politico, che caratterizzano l’America di oggi. Un giovane maschio bianco, un ordigno rudimentale al nitrato d’ammonio e un’esplosione mirata. Ma a dispetto dell’apparenza, nulla in questo attacco può essere attribuito alla categora tradizionale della violenza politica. Nessun manifesto suprematista, nessun riferimento alla religione, nessuna frase a effetto antiabortista e nessuna rivendicazione patriottica. Solo una convinzione aberrante e assoluta: la vita umana è sofferenza, e ogni tentativo di promuoverla è moralmente inaccettabile. Questa è l’ideologia che ha mosso Bartkus e che oggi richiede un’attenzione urgente da parte della comunità dell’antiterrorismo. Non si tratta assolutamente di estremismo di destra o di sinistra, ma di un radicalismo anti umano che ha preso forma all’interno di comunità online dove l’odio per la vita viene razionalizzato, teorizzato e trasformato in dogma.
L’attentatore si ispirava all’efilismo, una corrente ideologica nata come estensione radicale dell’antinatalismo, secondo cui la procreazione è un atto immorale perché perpetua la sofferenza del pianeta. Secondo questa visione filosofica, ogni forma di vita senziente è intrinsecamente condannata a soffrire, e quindi impedirne la nascita non è solo giustificabile, ma auspicabile. Si tratta di un pensiero portato avanti da una manciata di filosofi marginali, il più noto dei quali è il sudafricano David Benatar, autore di Better Never to Have Been, un saggio che espone una tesi filosofica per cui nascere è sempre un danno, anche nelle migliori condizioni. Ma mentre Benatar propone un’etica della non-procreazione pacifica e personale, l’efilismo radicalizzato ne fa un’ideologia attiva, militante, che legittima l’uso della violenza per impedire agli altri di generare la vita.
I contenuti online
Secondo le indagini, non solo Bartkus consumava costantemente contenuti online legati a questi temi, ma produceva egli stesso video e post, spesso sotto pseudonimi, in cui testava esplosivi e ne documentava l’efficacia, come se si trattasse di un esperimento scientifico al servizio di una crociata metafisica. Molto preoccupante anche il fatto che Bartkus non sembra agisse in modo isolato. Il nitrato d’ammonio e gli altri componenti necessari all’attacco gli erano stati procurati da Daniel Park, un complice che, pur non essendo presente al momento dell’attentato, ne aveva condiviso la visione ideologica e facilitato l’azione. Entrambi i terroristi frequentavano ambienti virtuali dove efilismo e nichilismo si mescolano a meme ironici, estetiche post-apocalittiche e discussioni sulla presunta superiorità morale dell’estinzione volontaria dell’umanità. In poche parole, non si tratta di un caso isolato. In rete proliferano luoghi – da alcuni subreddit oscuri a server Discord criptati – in cui si legittima l’idea che fermare la vita sia un atto etico. Secondo gli analisti che si occupano di questo fenomeno, alcuni vi arrivano per frustrazione personale, altri per depressione cronica, altri ancora per una forma contorta di altruismo morale. Ma in questi spazi, la sofferenza esistenziale viene politicizzata e armata.
Ma in che modo questa nuova forma di radicalizzazione violenta pone problemi gravissimi per la società? Quello di Palm Springs è un attacco che non vuole ottenere concessioni dallo Stato, non mira a terrorizzare una comunità per motivi religiosi, non chiede visibilità a una causa minoritaria. È un attentato che nasce dal vuoto e si propone di estendere quel vuoto. In questo senso, l’atto di uccidere non viene intraprese per affermare qualcosa, ma per negare. Si distrugge non per conquistare, ma per impedire che qualcosa continui. Non è un terrorismo tradizionale, ma una nuova forma di estremismo che potremmo definire nichilista-esistenziale. La novità, anche rispetto a forme estreme di anarchismo, è che la distruzione non è un mezzo per ottenere qualcosa, ma il fine stesso. Non c’è desiderio di rivincita, non c’è rabbia contro un nemico identificabile. C’è solo l’idea, fredda e lucida, che vivere sia un male e che chi cerca di generare la vita stia commettendo un crimine.
Il centro di fecondazione assistita colpito
L’obiettivo simbolico scelto da Bartkus – un centro di fecondazione assistita – non è casuale. È la perfetta manifestazione di tutto ciò che l’efilismo odia: la volontà scientifica e cosciente di riprodurre l’umanità, di correggere la natura per favorire la nascita, di rafforzare la continuità della specie. L’attacco, dunque, assume le sembianze di una vendetta metafisica e consiste nel colpire il luogo in cui la vita viene deliberatamente progettata come atto di amore e speranza. Ciò che inquieta è anche l’apparente razionalità con cui l’attacco è stato preparato. I materiali usati, la precisione dell’assemblaggio dell’ordigno, la documentazione video, le comunicazioni criptate. Tutto questo testimonia una dedizione quasi fanatica, ma priva delle passioni che solitamente associamo all’odio politico o religioso. È una violenza asettica, scientifica, sorretta da un’ideologia che ha la pretesa di essere logica e intrinsecamente morale. E proprio qui si annida il pericolo più grande; perché un estremismo che si veste da filosofia morale, che si presenta come “razionale” e che si diffonde senza proclami ma attraverso sottoculture digitali, è infinitamente più difficile da monitorare e neutralizzare.
Il terrorismo efilista e nichilista, pur ancora estremamente raro, soprattutto in Europa, rappresenta una mutazione profonda del fenomeno terrorista. Sfugge ai radar tradizionali dell’intelligence perché non ha bandiere, non proclama guerre, non ha martiri né leader riconoscibili. È orizzontale, fluido, e soprattutto si presenta come non politico, persino apolitico. Ma proprio per questo rischia di insinuarsi con più facilità nelle menti giovani, isolate, disilluse, attratte dall’idea che il rifiuto totale del mondo possa essere una forma superiore di consapevolezza. Non si tratta di devianza, ma di una vera e propria logica alternativa che interpreta il male non come una scelta difficile, ma come una necessità etica in nome del bene maggiore e cioè impedire che altri esseri senzienti siano costretti a vivere.
Per contrastarlo, serve dunque una riflessione collettiva e profonda. Dobbiamo capire che queste ideologie, sebbene oggi marginali, rappresentano un sintomo avanzato della fragilità psicologica, culturale e sociale della nostra epoca, che è caratterizzata da mutamenti epocali e da un senso diffuso di abbandono e anomia. Per questo non bastano più i paradigmi classici del contrasto alla radicalizzazione, ma occorre sviluppare nuovi strumenti concettuali, etici e tecnologici per intercettare e decostruire narrazioni che giustificano la distruzione totale come atto morale. La sfida non è solo politica o securitaria. È antropologica. In gioco non c’è solo la sicurezza pubblica, ma l’idea stessa di umanità.
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