Se per il cuneo fiscale, il governo Meloni ha presentato come “il più importante taglio delle tasse mai fatto” (e non è vero) quello di 4 miliardi, perché con gli attuali conti dello Stato di più non poteva fare, questo non è vero in ambito sanitario. Nel corso della pandemia era stata prevista la possibilità di accedere al cosiddetto “Mes sanitario”, che per noi equivaleva a circa 37 miliardi, la cui unica condizionalità sarebbe stata quella di utilizzare i relativi fondi a esclusivo sostegno del sistema sanitario. E con un tasso di interesse vicino allo zero.

Unica condizionalità era la destinazione dei fondi per le spese “dirette e indirette di salute pubblica, cura e prevenzione legate alla crisi Covid-19”. Che avrebbe consentito di uscire dal rischio del Pnrr di utilizzare risorse a debito per progetti inutili o irrealizzabili entro il 2026.
Purtroppo questa opportunità non è stata colta, e ora il governo, salvo ulteriore indebitamento, deve trovare le risorse per la sanità dal bilancio ordinario. Cosa che fin qui è risultata scarsa.
A fine aprile sono state così aggiornate e rese effettivamente usufruibili tramite il Servizio Sanitario Nazionale tantissime nuove cure sia di specialistica ambulatoriale che di assistenza protesica, introducendo prestazioni tecnologicamente avanzate ed escludendo prestazioni obsolete. Prestazioni che finora non era stato possibile erogare su tutto il territorio nazionale proprio in mancanza dell’adozione del decreto tariffe.

Il ministero della Salute al momento ha accompagnato questa riforma con risorse pari a 402 milioni di euro, “ma laddove il monitoraggio dovesse portare a individuare una ulteriore richiesta, che qualcuno quantifica in duecento milioni, saremmo in grado da qui alla fine dell’anno di trovarle” ha detto il Ministro della Salute, Orazio Schillaci. Cifre purtroppo insufficienti. Con l’ultima legge di bilancio l’esecutivo ha stanziato 2.15 miliardi in più rispetto a quanto preventivato. Una cifra che, come segnalato sia dai sindacati che dalle Regioni, non copre neppure tutti gli aumenti dovuti al Covid e al caro-energia e materiali. Infatti il 70 per cento dell’incremento del fondo sanitario è dedicato al ristoro energetico, il resto se ne va tra farmaci e vaccini.

Nel 2018 la spesa sanitaria italiana è stata di circa 123 miliardi (l’8,8 per cento del Pil, oltre duemila euro a persona) mentre dei 209 miliardi previsti dal Recovery Fund, il nostro Paese ha deciso di utilizzarne solo sedici per la sanità. Nonostante l’aggiornamento dei Lea, vi sono poi patologie non sono riconducibili ad uno specifico codice, un problema che è ancora più grande per una particolare categoria di persone, quelle affette da una ‘malattia rara senza diagnosi’.
Rispetto a queste oltre a mancare cure e assistenza, mancando il “codice” il Ssn non può farsi carico degli esami di nuova generazione più precisi, ma molto cari, quali i test genomici. Nonostante l’impegno del governo che ha recepito una mozione specifica, mancano ancora i decreti attuativi del Testo Unico sulle malattie rare approvato nella scorsa legislatura.

Nel 2021 la spesa pro-capite in sanità in Italia è stata pari a 2.856 euro, molto meno di Germania (5.944 euro), Francia (4.355 euro), e alla media Ocse (3.771 euro). Questi dati non rispecchiamo la fotografia demografica che alla denatalità contrappone l’invecchiamento della popolazione. Già nel 2030 gli over 65 saranno il 33 per cento della popolazione, di cui tre milioni e mezzo non autosufficienti rispetto ai due milioni attuali. Con l’aumento dell’aspettativa di vita ed il rapporto sempre più sfavorevole tra popolazione attiva e non attiva, si registra un aumento preponderante di malattie cronico-degenerative. Il 40 per cento della popolazione, inoltre, è affetta da malattie con andamento ingravescente e progressivo aumento delle problematiche legate alla cronicità.

A ciò si aggiunge anche una progressiva riduzione dei posti letto in ambito ospedaliero, con valori italiani per mille abitanti, al 2018, tra i più bassi in Europa (3.1 a fronte di una media europea intorno a 5) e largamente insufficienti per rispondere alle esigenze di ricovero. L’Italia presenta una disponibilità di operatori sanitari per diecimila abitanti pari a 97.4. Non a caso il ministro Fitto ha annunciato che si dovrà rinunciare alla realizzazione degli ospedali di comunità previsti nel Pnrr, non essendoci risorse economiche e professionali utili ad attivarli dopo la costruzione: rimarrebbero cattedrali nel deserto. Dal diciottesimo Rapporto Sanità del Centro per la Ricerca Economica Applicata in Sanità dell’Università di Roma Tor Vergata emerge che al finanziamento della sanità pubblica italiana mancano almeno cinquanta miliardi per avere un’incidenza media sul Pil simile agli altri Paesi europei.

Una delle conseguenze è che cresce la spesa sanitaria privata: quella media arriva a oltre 1.700 euro a famiglia. Se davvero vogliamo un sistema sanitario nazionale, per tutti, bisogna investire di più, rimediando agli errori commessi.