Qualcosa si muove in uno dei settori più “immobili” della teologia cattolica cioè la morale sessuale e matrimoniale. Sono gli effetti di “Amoris Laetitia”, il documento di Papa Francesco del 2016 che ha raccolto le indicazioni di due Sinodi sulla famiglia, provando a delineare un nuovo approccio pastorale ai concreti problemi della vita di coppia (con e senza figli). L’altro giorno il dicastero Laici Famiglia Vita ha pubblicato una “guida” intitolata “Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale”. Al di là del “gergo” e per chi avesse la pazienza di leggere le cento pagine del testo, si trova un linguaggio diverso dal solito, inclusivo, più rispettoso delle diverse realtà, meno giudicante. Si avverte la necessità (finalmente) di coinvolgere per davvero le coppie nella preparazione al matrimonio dei fidanzati, gradualità della proposta in base alle esperienze di chi chiede di sposarsi in chiesa, attenzione alle situazioni particolari delle tante coppie già conviventi, che poi sono la maggioranza.

Si ribadisce un “must” della morale quale è la “castità” pre e post matrimoniale, intesa però come “rispetto dell’altro, la premura di non sottometterlo mai ai propri desideri, la pazienza e la delicatezza con il coniuge nei momenti di difficoltà, fisica e spirituale, la fortezza e l’auto-dominio necessari nei tempi di assenza o di malattia di uno dei coniugi”. Toni diversi dalle perentorie richieste di zero rapporti intimi fino al matrimonio. Anche perché la realtà è inequivocabile e infatti il documento ribadisce l’attenzione alle coppie formatesi dopo una prima unione fallita, annunciando la pubblicazione di un secondo sussidio su tali situazioni. D’altro canto non è illusorio ipotizzare che si vada ancora più avanti, abbandonando casistiche e indicazioni di comportamenti anacronistici.

Il testo del Dicastero apre uno spiraglio. Qualcuno ha già spalancato tutta la porta. Il movimento in atto si coglie leggendo un recentissimo articolo di don Basilio Petrà, docente di teologia morale. già presidente dell’Associazione dei teologi moralisti italiani (Atism), impegnato in una rilettura della teologia sulla vita sessuale e matrimoniale. Ora in un ampio articolo, pubblicato sul sito “settimananews” dei Dehoniani di Bologna, spiega quale possa essere un’impostazione capace di avviare un rinnovamento di pensiero e prassi. Partiamo dal titolo dell’articolo: ‘requiem’ per l’adulterio? In effetti è piuttosto scioccante pensare che un peccato come l’adulterio possa non esserlo più. Casca il mondo? No, si tratta di andare a guardare meglio nelle pieghe delle situazioni. Da un lato abbiamo il concreto peccato: chi commette adulterio, chi ruba, chi uccide, cioè la persona in carne ed ossa che mette in atto un comportamento o un’azione sbagliata per poi pentirsi e ricevere l’assoluzione. Dall’altro lato abbiamo il peccato in sé: tutti sappiamo che rubare è reato, che commettere adulterio è sbagliato.

Se il principio non viene meno, la realtà giuridica deve fare i conti con la realtà esistenziale. Era una strada tentata negli anni Novanta del secolo scorso in Germania da Eugen Drewermann, ma i tempi non erano maturi. Petrà fa degli esempi e vale la pena di seguirli. «Ad es. se Antonio ha un rapporto sessuale con Genoveffa che è giuridicamente sposata con Giuseppe ma da anni non vive più con Giuseppe, ha costruito anzi un rapporto di piena condivisione vitale (convivenza stabile di forma coniugale e magari civilmente riconosciuta) con Antonio, allora qualcuno potrebbe sostenere con buone ragioni che non si può più dire che il rapporto tra Antonio e Genoveffa costituisca adulterio. In effetti, Giuseppe e Genoveffa risultano sposati giuridicamente (canonicamente) ma senza che tale indicazione corrisponda alla realtà del vissuto delle persone, giacché o ambedue o almeno uno dei due non solo considerano terminato il proprio legame nuziale (quello canonicamente definito) ma hanno costituito un nuovo legame nuziale, talvolta giuridicamente (civilmente) riconosciuto».

Quale è il punto? Se il vincolo matrimoniale non esiste più e neanche la coppia – nonostante il sacramento celebrato a suo tempo – allora «è ragionevole affermare che non si può dare adulterio ovvero violazione di un vincolo nel caso che i soggetti non ritengano più vigente per loro tale vincolo, essendosi esaurito sul piano della relazione reale il loro vincolo nuziale». In altri termini: non basta il legame giuridico a dare senso ad una relazione, se le persone coinvolte non vogliono. E fin qui siamo nel campo della vita concreta. Però sappiamo che per il mondo più tradizionale della morale, il buon senso e la vita concreta si fermano davanti al dettato della teologia e delle normative canoniche, stratificate in centinaia di anni di storia. Come è possibile superare l’ostacolo? Basilio Petrà lo ha già mostrato chiaramente in un libro pubblicato da poco ed intitolato Una futura morale sessuale cattolica in cui rivede la dottrina espressa dall’apostolo Paolo (Prima Lettera ai Corinzi) alla luce di quello che chiama il “principio della realtà”. Cioè la Chiesa (e non solo), oggi dovrebbe sapere che la moralità dell’agire sessuale non è in radice stabilita dalla configurazione giuridica della relazione tra le persone ma dalla forma esistenziale di tale relazione, prima e indipendentemente dalla configurazione giuridica.

Il diverso modo di affrontare la questione è uno degli effetti di “Amoris Laetitia” quando si mette al centro del rapporto tra le persone la qualità della relazione e non la forma giuridica. E a pari titolo si mette al centro l’atteggiamento di misericordia verso gli inevitabili errori che tutti noi esseri umani commettiamo nel corso della nostra storia. Se non lo facessimo, allora daremmo vita a dilemmi di teologia morale davvero gustosi. Basilio Petrà ne imposta uno, surreale, ma illuminante: «Ricordo l’imbarazzo di alcuni moralisti quando furono posti dinanzi a una domanda di questo tipo: Alberto, sposatosi con Maria, si separa e divorzia da lei e si risposa civilmente con Antonietta. Anni dopo, incontra di nuovo Maria e passano la notte insieme. Commette adulterio o no? Nella logica che assolutizza la determinazione canonica non lo commettono: ma nella logica della concreta realtà esistenziale commettono adulterio. Agli occhi di molti lo commettono perché la realtà concreta prevale nella valutazione sulla realtà astrattamente considerata, e non sembra uno sguardo ingiusto. Bisogna dire – e dirlo chiaramente – che la pastorale si è ampiamente accorta di questa necessaria distinzione da fare tra realtà giuridica e realtà esistenziale».

E che ne facciamo di San Paolo quando dice che la forma lecita di esercizio della sessualità si ha soltanto nel matrimonio? La risposta insiste sull’idea di fondo: non è la forma giuridica (il sacramento, il matrimonio) a dare senso alla relazione tra due, ma esattamente il contrario. È la relazione tra loro a dare una base solida alla forma giuridica del rapporto. Con questo spostamento di accenti e toni, siamo davanti a una profonda mutazione genetica nel modo di guardare alla realtà. In altri termini è necessario superare una visione etico-legale dei rapporti per mettere al primo posto la qualità del vissuto e il significato che i due protagonisti attribuiscono alla loro unione. E non è cosa da poco. Un altro esempio di come sia in atto un lento ma inesorabile cambiamento lo recuperiamo in un testo del 2015 del teologo Andrea Grillo, laddove notava la necessità di lasciar cadere una lettura esclusivamente “contrattuale” del matrimonio per lasciare “maggiore spazio ad una lettura pastorale e sacramentale”.

E aggiungeva: costruire la “comunione coniugale” non solo è dono di Dio, «ma anche compito dell’uomo e della donna. Quando essi scoprono amaramente di non essere all’altezza del compito che hanno assunto, è vana ogni pura resistenza giuridica o ontologica. Non vale né un ‘dovere’ né un ‘essere’ contro una coscienza costretta a dover riconoscere la fine del proprio vincolo coniugale. Ogni forma di forzata ‘retrodatazione’ della crisi è un modo di negare che il matrimonio valido possa entrare in crisi. Questa, tuttavia, risulterebbe una finzione priva di ogni veridicità. Non si aiutano le famiglie ferite negando le crisi che hanno vissuto e riducendole ad un ‘vizio del consenso’ originario». Spazzare via il legalismo in nome della genuinità dei rapporti, è la via che avanza, con difficoltà.

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Giornalista e saggista specializzato su temi etici, politici, religiosi, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato, tra l’altro, Geopolitica della Chiesa cattolica (Laterza 2006), Ratzinger per non credenti (Laterza 2007), Preti sul lettino (Giunti, 2010), 7 Regole per una parrocchia felice (Edb 2016).