Mi ha chiamato un sacerdote, “uno che sa”, per dirmi che la ricostruzione del dialogo Papa-vescovi italiani sul mancato viaggio a Firenze è tutta vera. Certo le frasi esatte non sono forse quelle riportate da “silerenonpossumus” (al quale ho dato del “farlocco”, esagerando, anche se resta un sito ‘opaco’ e con testi anonimi) ma nella sostanza papa Francesco ha detto che non andava al convegno dei vescovi e sindaci del Mediterraneo (due convegni distinti, con un momento comune) per il ginocchio malato ma soprattutto per la politica del governo italiano (ministro dell’Interno Marco Minniti) di freno all’emigrazione contenendo i profughi in veri e propri lager in Libia.

Dunque è vero, il Papa si è espresso in quel modo. Allora, vuol dire che la situazione è peggio ancora di come l’avevo descritta. Avevo sottolineato che la Cei ha un problema di comunicazione interna e fare uscire quella parte di un dialogo riservato è un messaggio trasversale al neopresidente cardinale Zuppi per dirgli che qualcuno vede, ascolta, registra, fa trapelare. Invece è ancora peggio. Prima di tutto perché nella sostanza il Papa ha ragione. La politica di alcuni governi sui profughi è andata letteralmente sulla pelle di questi poveracci; quelli arrivati fortunosamente hanno raccontato torture e trattamenti disumani, come le cicatrici testimoniano, non invenzioni. E che hanno fatto i vescovi, la società civile, tutti noi? Abbiamo ignorato e lasciato il Papa da solo a denunciare politiche medievali di autentica insensibilità. Quindi onore al coraggio del Papa.

Però sia lecito chiedere: perché i vescovi hanno sollevato la domanda a fine maggio? Possibile che a febbraio quando è arrivata la cancellazione del viaggio a Firenze, nessuno – presidenza della Cei, vescovo di Firenze o altri – nessuno abbia chiesto il perché? Dobbiamo aspettare giugno, peraltro dieci giorni dopo quel colloquio riservato. E a che serve fare uscire quattro mesi dopo la notizia (ma è una notizia?) se non a mandare, appunto, un messaggio trasversale al presidente della Cei oggi in carica? Da qui i nodi davvero irrisolti: la Chiesa in Italia si rivela un’immensa tela di Penelope, dove si scrive di giorno e di sera si disfa facendo trapelare qualsiasi notizia senza capire davvero la logica. E così il risultato è andare da nessuna parte, fino a quando non si porrà mano davvero alle situazioni e fino a quando non si deciderà di mettere seriamente a tema l’importanza di avere una linea per davvero comune, condivisa, sensata e soprattutto evangelica.

Per riuscire a farlo, serve una cultura del dialogo e del dibattito ed una capacità di dipanare i nodi irrisolti. In attesa, il consiglio alla leadership ecclesiale è: fare i conti con l’opposizione interna, perché se la lasci libera di screditare e dire quel che vuole senza contraddittorio, le situazioni non cambieranno. Invece devono cambiare, perché i preti calano drammaticamente in una Chiesa che ha puntato sulla clericalizzazione e ora non sa che fare, in una Chiesa in cui la formazione è inadeguata (seminari pensati dal Concilio di Trento…), mentre autoreferenzialità e narcisismo dilagano. E in una società che ha bisogno di prospettive, di progetti, di speranza.

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Giornalista e saggista specializzato su temi etici, politici, religiosi, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato, tra l’altro, Geopolitica della Chiesa cattolica (Laterza 2006), Ratzinger per non credenti (Laterza 2007), Preti sul lettino (Giunti, 2010), 7 Regole per una parrocchia felice (Edb 2016).