E ci risiamo con i rumors su papa Francesco: è malato tanto, è malato troppo. E soprattutto l’accusa è di avere a breve l’intenzione di indire un Concistoro per nominare i cardinali e dirigere “da remoto” l’elezione del suo successore. Tutte balle. Si può dire che sono tutte balle, cioè sciocchezze? Intanto mentre viaggiano le notizie sulla salute malferma, il Vaticano ha annunciato il viaggio in Canada a fine luglio, un tragitto non proprio leggero per un Pontefice di 85 anni. Ma le smentite portate dai fatti non servono di fronte alla manipolazione dei fatti stessi. C’è addirittura un gruppo (non faccio i nomi per non dare pubblicità) che ha inventato una rivista dedicata ai cardinali. Perché – dicono – i cardinali tra loro non si conoscono e dunque come potranno scegliere il prossimo papa? E allora via a una rivista in diverse lingue sfogliabile nel sito internet costruito apposta. L’idea in sé sarebbe anche interessante.

Peccato che il secondo numero, ultimo uscito, riporti in copertina un’intervista nientepopodimeno che con il novantunenne cardinale Camillo Ruini. Che poi lo conoscono tutti. E nelle pagine interne un’altra intervista con il cardinale Brandmuller, noto per appartenere al gruppo che firmò i “dubia” cioè le domande sulla ortodossia dell’Esortazione Apostolica Amoris Laetitia del 2016 su matrimonio e famiglia. Insomma la rivista è un’operazione antipapale molto smaccata, che ha spazi di manovra perché papa Francesco non si occupa dei suoi critici. Ma forse su questo sbaglia… Da analizzare, tra tutte, la curiosa accusa al Papa di nominare troppi cardinali e di voler dirigere il prossimo conclave. Qui si capisce l’infondatezza e il pregiudizio verso Papa Francesco. Se nomina i cardinali dirige il prossimo conclave, se non li nomina che succede? E poi i cardinali invecchiano e superati gli 80 anni escono dal gruppo degli elettori. Non devono venire sostituiti? Dovrebbero essere 120 (gli elettori) ma Giovanni Paolo II in alcuni momenti ne nominò molti di più. Lì andava bene?

Tutte le scuse sono buone quando ci sono i pregiudizi. Ma perché ci sono? Perché, si dice, papa Francesco è troppo progressista, è aperturista in teologia e in morale (soprattutto matrimonio e famiglia). E qui si coglie l’infondatezza delle critiche. Un cardinale progressista è una contraddizione in termini: nel caso specifico di Jorge Mario Bergoglio stiamo parlando di un sacerdote di una generazione formatasi prima del Concilio Vaticano II. Per altri cardinali più giovani (ma sempre sopra i 60 anni…), parliamo di una generazione vissuta dopo il Concilio. Non idee rivoluzionarie, ma un Concilio terminato nel 1965, che ha avviato una riforma degli studi e delle modalità di diventare sacerdoti solo a partire dagli anni Settanta e Ottanta. Papa Francesco in teologia non dice in realtà niente di particolarmente nuovo. Nuova semmai è la modalità con cui affronta i problemi. Anzi, non nuova ma diversa dal solito. Nel documento “Veritatis Gaudium” in cui definisce le linee-guida dell’insegnamento delle Università e Facoltà cattoliche, si esprime a favore di un tipo di studio che sia consapevolmente “interdisciplinare” e “transdisciplinare”. Un’impostazione intelligente, vista la necessità di farla finita con la superspecializzazione dei saperi e mettere la teologia in dialogo con tutte le discipline.

Cosa c’è di rivoluzionario? Semmai la Chiesa deve recuperare una certa arretratezza. Nell’Esortazione Apostolica “Evangelii Gaudium” del 2013 indica le linee portanti del pontificato che poi saranno declinate nei discorsi, nelle omelie, nei viaggi, nell’impostazione pastorale e di governo. Le parole-chiave: “Chiesa in uscita” per indicare la nuova evangelizzazione e le caratteristiche che deve avere per essere efficace, inclusiva, rispondente ai bisogni delle persone; le indicazioni di una Chiesa povera per i poveri; un elenco dei rischi e delle tentazioni da evitare per non trasformare l’attività ecclesiale in un puntello per i poteri del mondo. Delinea, il Papa, le caratteristiche dell’annuncio evangelico e il coinvolgimento dei poveri, con l’enucleazione di alcuni princìpi: il tempo è superiore allo spazio, l’unità prevale sul conflitto, la realtà è più importante dell’idea, il tutto è superiore alle parti.

Temi che le scienze umane masticano da decenni mentre la Chiesa ora si affaccia alla riflessione inter e trans-disciplinare perché di fronte ai problemi occorre un atteggiamento nuovo. Qui in effetti è il vero punto di fusione. La domanda giusta è: perché la teologia è in ritardo rispetto alla comprensione del mondo e rispetto alle risposte da dare al bisogno di senso delle persone? Perché con Giovanni Paolo II papa e con il cardinale Joseph Ratzinger prefetto della Dottrina della Fede, ha prevalso un’impostazione di chiusura. Il prefetto ha condannato e silenziato i migliori teologi degli anni Ottanta e Novanta impegnati in un dialogo e riflessione di frontiera con le culture e le religioni. Il Papa, che appoggiava pienamente il cardinale, ha pubblicato, tra le altre, un’enciclica intitolata “Fides et Ratio” e un’altra intitolata “Veritatis Splendor” per argomentare un’idea precisa: la teologia deve seguire il Magistero.

Uccidendo, di fatto, la libertà di ricerca in teologia, introducendo la “missio” cioè l’approvazione del vescovo per i teologi docenti nelle facoltà e università cattoliche. Libertà di ricerca addio se le tue tesi e se le tue ricerche possono valerti l’estromissione dall’insegnamento o la scomunica, come nel caso di un teologo srilankese pioniere nel dialogo con i mondo dell’Oriente. La crisi della teologia del Novecento nasce da qui. Dal fatto di essere stata costretta a svincolarsi dai temi caldi della contemporaneità. E riconnettersi è difficile, nonostante la spinta propulsiva di papa Francesco. Comunque sia qualcosa sta accadendo. Sebbene con grande lentezza e con diverse contraddizioni (episcopati che stanno fermi e non seguono il Papa, mancanza di vere sinergie e libere discussioni che approdino a qualche risultato) si vede qualche spiraglio.

Ad esempio l’enciclica “Fratelli Tutti” ha smosso un gruppo di teologi coordinati dalla Pontificia Accademia per la Vita, che hanno prodotto un Appello per prendere sul serio la fraternità universale e rinnovare la teologia. Anche qui chi non grida allo scandalo fa di tutto per mettere il silenziatore a iniziative valide, facendo finta di non vedere che il mondo è drammaticamente già cambiato con la “terza guerra mondiale a pezzi”, con la pandemia, con il conflitto in Europa. Qualche spiraglio si apre anche negli Usa, dove alcune teologhe e teologi lavorano per mettere al centro della riflessione l’etica (che nel mondo cattolico si chiama teologia morale) incrociandola con la Dottrina sociale della Chiesa, nella consapevolezza che qui ci sono i temi pregnanti del futuro.

E anche quando papa Francesco sottolinea l’importanza di un approccio che si chiama Bioetica Globale (una sola vita da vivere, un solo pianeta, quindi rispetto assoluto per l’ambiente e possibilità di crescita economica, sociale, culturale per ogni essere umano contro ogni visione utilitarista, sovranista, liberista…) in realtà introduce nel dibattito cattolico temi già presenti da un pezzo nel mondo laico, nel tentativo di riannodare i fili del dialogo tra Chiesa e società. Dunque tutto bene? Il nuovo avanza, sia pure con difficoltà? Non proprio, manca un pezzo importante. Se papa Francesco dice che per lui è decisivo “avviare processi” di cambiamento, sarebbe utile avere “procedure” di attuazione e un vero dialogo, per creare consenso e partecipazione attorno ai “processi di cambiamento”. È un aspetto che manca e potrebbe far cadere tutte le aspettative attorno a un pontificato denso di stimoli e spunti di riflessione.

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Giornalista e saggista specializzato su temi etici, politici, religiosi, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato, tra l’altro, Geopolitica della Chiesa cattolica (Laterza 2006), Ratzinger per non credenti (Laterza 2007), Preti sul lettino (Giunti, 2010), 7 Regole per una parrocchia felice (Edb 2016).