Escalation, è la parola-chiave dell’intervista del Papa al Corriere della Sera, pubblicata in grande evidenza ieri in due pagine, sotto forma di resoconto della conversazione tra direttore e vicedirettrice del quotidiano. «Sono pessimista ma dobbiamo fare ogni gesto possibile perché la guerra si fermi», ha ripetuto e ribadito Papa Francesco. Però appare chiaro che il Pontefice è solo in questa fase del conflitto, di fronte all’assuefazione alla guerra ed alla piega degli eventi. «Ho chiesto al cardinale Parolin, dopo venti giorni di guerra, di fare arrivare a Putin il messaggio che io ero disposto ad andare a Mosca. Certo, era necessario che il leader del Cremlino concedesse qualche finestrina. Non abbiamo ancora avuto risposta e stiamo ancora insistendo, anche se temo che Putin non possa e voglia fare questo incontro in questo momento. Ma tanta brutalità come si fa a non fermarla?».

Nelle parole del Papa anche la riflessione sulle ragioni della guerra e sul “commercio” delle armi. Papa Francesco parla di “un’ira facilitata” forse, dall’ “abbaiare della Nato alla porta della Russia” che ha portato il Cremlino a “reagire male e a scatenare il conflitto”. «Non so rispondere, sono troppo lontano, all’interrogativo se sia giusto rifornire gli ucraini – ragiona – La cosa chiara è che in quella terra si stanno provando le armi. I russi adesso sanno che i carri armati servono a poco e stanno pensando ad altre cose. Le guerre si fanno per questo: per provare le armi che abbiamo prodotto». Ripercorrendo gli sforzi fatti o da poter fare per fermare la violenza, il Papa chiarisce: «A Kiev per ora non vado», «sento che non devo andare. Io prima devo andare a Mosca, prima devo incontrare Putin. Ma anche io sono un prete, che cosa posso fare? Faccio quello che posso. Se Putin aprisse la porta…». E ancora a Mosca il Papa guarda per la possibilità di agire insieme al patriarca della Chiesa ortodossa Kirill. Cita il colloquio di 40 minuti via Zoom del 15 marzo scorso e le “giustificazioni” della guerra citate da Kirill, e torna sul mancato appuntamento a giugno a Gerusalemme. «Ho ascoltato – afferma Francesco nell’intervista al Corriere della Sera – e gli ho detto: di questo non capisco nulla. Fratello noi non siamo chierici di Stato, non possiamo utilizzare il linguaggio della politica, ma quello di Gesù. Siamo pastori dello stesso santo popolo di Dio. Per questo dobbiamo cercare vie di pace, far cessare il fuoco delle armi. Il patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin. Io avevo un incontro fissato con lui a Gerusalemme il 14 giugno. Sarebbe stato il nostro secondo faccia a faccia, niente a che vedere con la guerra. Ma adesso anche lui è d’accordo: fermiamoci, potrebbe essere un segnale ambiguo».

A questo proposito il Papa ripensa alla Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo e alle richieste da parte ucraina che hanno portato a non leggere la meditazione nella tredicesima stazione, comunque guidata da una donna russa e da una ucraina. Francesco spiega del colloquio avuto con l’Elemosiniere, il cardinale Krajewski, che per la Pasqua si trovava proprio a Kiev, inviato dal Papa dall’inizio del conflitto. «Ho chiamato Krajewski che era lì e lui mi ha detto: “si fermi, non legga la preghiera. Loro hanno ragione anche se noi non riusciamo pienamente a capire”. Così sono rimasto in silenzio. Hanno una suscettibilità, si sentono sconfitti o schiavi perché nella seconda guerra mondiale hanno pagato tanto tanto. Tanti uomini morti, è un popolo martire. Ma stiamo attenti anche a quello che può accadere adesso nella Transnistria». Ai ripetuti appelli di papa Francesco, fa seguito una Chiesa cattolica non altrettanto pronta a reagire contro il conflitto, con l’unica eccezione della Comece, la rappresentanza degli episcopati del Continente presso l’Unione Europea, il cui presidente è il cardinale gesuita Jean-Claude Hollerich. Hollerich e il presidente della Conferenza delle Chiese cristiane, Christian Krieger, il 13 aprile hanno inviato una lettera al presidente ucraino e al presidente russo, per chiedere una tregua in occasione della Pasqua, sulla scia degli appelli del Papa. Inascoltati, certo, però in oltre due mesi di guerra la Comece ha cercato in tutti i modi di far sentire la voce della Chiesa cattolica (vedere sul sito: www.comece.eu).

Diversamente hanno lavorato altri episcopati. In Italia ad esempio (www.chiesacattolica.it) la presidenza della Conferenza episcopale si occupa di sostenere la popolazione ucraina e di accoglienza dei profughi. Il Consiglio delle Conferenze episcopali europee (www.ccee.eu) che raccoglie i presidenti e i segretari degli episcopati (più altri organismi, per un totale di 39 organizzazioni ecclesiali aderenti), sul tema della guerra è fermo al 21 marzo con la condanna dell’uso strumentale della religione per fini politici. La Conferenza dei vescovi spagnoli (www.conferenciaepiscopal.es) tace del tutto. I vescovi francesi (www.eglise.catholique.fr) hanno pubblicato un comunicato il 10 marzo per stigmatizzare il nazionalismo come minaccia per la pace, preceduto da un appello del 24 febbraio a sostegno, in preghiera, della popolazione ucraina. Ma non c’è altro. I vescovi statunitensi (www.usccb.org) il 16 marzo hanno pubblicato un comunicato della presidenza chiedendo la fine dell’aggressione russa. Il 22 aprile, si sono espressi per la fine della guerra e a sostegno del piano del governo per accogliere i profughi ucraini. Per i vescovi tedeschi, l’ultimo appello è del 22 marzo – a sostegno dei profughi – ed il primo a favore della pace e contro l’aggressione è del 10 marzo (www.dbk.de).

Lo stesso sito dei vescovi tedeschi riduce gli interventi di Papa Francesco ad appena quattro: quello del 24 febbraio con la giornata di digiuno e tre a marzo. E invece papa Francesco dall’avvio del conflitto a febbraio, praticamente ogni giorno ha affrontato il tema della guerra, utilizzando ogni uscita pubblica, ogni incontro con i fedeli, ogni celebrazione, ogni riunione e udienza, come lunedì con l’unione internazionale dei farmacisti cattolici. I quali, però, non avendo sito internet, né social media, non hanno rilanciato nei rispettivi paesi le parole del Papa. E così, alla fine, papa Francesco è solo contro la guerra, nonostante 1,2 miliardi di cattolici, oltre 5mila vescovi ed un Vangelo della misericordia chiaro, netto, inequivocabile su come seguire la volontà di Dio (Ama il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Ama il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti. Mt. 22).

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Giornalista e saggista specializzato su temi etici, politici, religiosi, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato, tra l’altro, Geopolitica della Chiesa cattolica (Laterza 2006), Ratzinger per non credenti (Laterza 2007), Preti sul lettino (Giunti, 2010), 7 Regole per una parrocchia felice (Edb 2016).