Lui, lei, l’altro. Una versione più sordida dei Ponti di Madison County, senza Clint Eastwood e Meryl Streep. Lui insiste a muso duro, dell’altro non ne vuole proprio sapere; lei si chiude nel mutismo, “non dico niente”. Nessuna aspettativa, non è l’anticipo di una nuova serie Netflix, piuttosto lo stato delle cose nel centrosinistra. Piatti che volano e silenzi gravi che incattiviscono la rissa.

Il triangolo Conte-Schlein-Renzi

Che poi Giuseppe Conte ed Elly Schlein non si sono mai particolarmente amati. Ma quanto tran tran insieme, dalle liti alle regionali della scorsa primavera alle scampagnate insieme a Maurizio Landini, fino a quella che sembrava la definitiva resa dei conti dopo le elezioni europee. Ovvero lei a comandare e lui dietro, a seguire. Subito dopo è arrivato però il momento di Renato Zero con il suo Triangolo: “Lui chi è? Come mai l’hai portato con te? Il suo ruolo mi spieghi qual è? Io volevo incontrarti da sola, se mai”. Pari pari quello che il leader del M5S ha rinfacciato alla segretaria del Pd. L’occasione galeotta è nota: la partita del cuore di metà luglio all’Aquila, Matteo Renzi che manda in porta Schlein, ma è fuorigioco. Una bella istantanea sulla confusione che regna in quello che non si può neanche più definire campo largo (chiamiamola semplicemente alleanza, consiglia Angelo Bonelli).

La tempesta ligure, il duello tra ex premier

Andrea Orlando in Liguria è il primo che si accorge della tempesta, con il partito di Conte che improvvisamente sale sugli scudi. La sua segretaria invece tergiversa, sperando probabilmente fino all’ultimo che il “quasi” amico con la “pochette” si accontenti di aver tolto di mezzo il simbolo di Italia Viva. E invece l’ex presidente del Consiglio fa sul serio: del suo storico rivale non vuol vedere neanche l’ombra. “Il Pd ci deve delle risposte”. Il marasma, esploso in Liguria, prende piede anche in Umbria ed Emilia-Romagna, che sono le due Regioni che voteranno il 17-18 novembre. Pane per i denti dell’altro, Matteo Renzi, che ritrova la visibilità malinconicamente perduta, il suo contesto ideale, e invita Giuseppe Conte al duello.

Emilia-Romagna e Umbria, le due facce del centrosinistra

“Noi in Emilia-Romagna ci siamo sempre stati e ci saremo anche stavolta”, mette in chiaro Maria Elena Boschi, ricordando che già con la presidenza Bonaccini il suo partito contava su un assessore (il manager culturale Mauro Felicori) e una consigliera regionale (Giulia Pigoni). Si allarma anche il Pd, con Debora Serracchiani che invita il M5S a non spaccare tutto. Visto che espellere IV in Emilia-Romagna sembra complicato, possibile che finisca con i 5 Stelle che vanno per conto loro, una riscoperta delle “origini” che non dovrebbe dispiacere a Beppe Grillo. Altra soluzione in Umbria, dove la candidata del centrosinistra, Stefania Proietti, se la cava negando l’esistenza dell’ex sindaco di Firenze. “Non l’ho mai sentito”. Italia Viva nella Regione è praticamente inesistente: “Non ce la farebbero a fare una lista, se vogliono c’è una civica, a chi vi aderisce non chiedo che tessera di partito abbia in tasca”.

Molto più complessa la situazione che si prospetta in Toscana, Regione che andrà al voto nell’autunno del 2025. Intanto perché è la terra dove tutto è iniziato alla Leopolda, con il rottamatore appena entrato a Palazzo Vecchio, in vista della sfida nazionale. Lo stesso Renzi che nel 2020 sedò, tanto per cambiare, una rivolta in seno al Pd toscano, candidando alla presidenza Eugenio Giani, sgradito alla sinistra. Uno, il governatore uscente, che è campione olimpionico di equilibrismo, concavo e convesso a seconda della stagione e soprattutto di chi sia il segretario del Pd. Per dire che è stato renzianissimo con Renzi (che d’altra parte lo aveva avuto anche come assessore a Firenze) e naturalmente il primo sponsor di Elly Schlein con Elly Schlein. Insomma, non le caratteristiche giuste per essere amati dai pentastellati così come da Alleanza Verdi e Sinistra. Che infatti ora preannunciano battaglia, chiedendo a gran voce discontinuità. Intendono da Matteo Renzi (che alle recenti amministrative a Firenze ha preso il 7%), ma sperano di mettere in discussione anche il candidato presidente. Minaccia da non sottovalutare perché nella Regione di Matteo Renzi il centrodestra è arrembante.

Meloni tra chiodo fisso Salvini e aumento accise

Insomma, Giorgia Meloni potrebbe riposare tra due guanciali, non fosse per un chiodo piantato erroneamente sui cavi elettrici che poi ha bloccato l’intera rete ferroviaria dell’alta velocità. Colpa del ministro Matteo Salvini, si sono subito rianimate le minoranze. “La risposta di Salvini e del governo? ‘È colpa di un chiodo’. Per questo governo, a Palazzo Chigi da ormai due anni, la responsabilità è sempre di qualcun altro: dei governi precedenti, dell’opposizione, del Superbonus, degli Enti locali, di chi manifesta, delle ditte subappaltatrici, di un chiodo. E prendersela con un chiodo la dice lunga sull’incapacità di questo governo”, si infiamma il presidente dei senatori dem Francesco Boccia.

Altro tema che distrae il campo largo dalle sue crisi è l’aumento delle accise sul diesel, rincari che Giorgia Meloni in un celebre video del 2019 aveva bollato come “scandalosi”. “Le accise hanno dunque fatto la stessa fine dell’abolizione della legge Fornero, della flat tax, della separazione delle carriere di giudici e magistrati, del blocco navale, degli extra-profitti delle banche e chi più ne ha più ne metta. Un governo fatto da millantatori e bugiardi”, ironizza il capogruppo di Italia Viva alla Camera Davide Faraone. Insomma, grande è la confusione sotto il cielo di Roma.