A Kirill ha detto: “Fratello non siamo chierici di stato ma pastori del popolo di Dio”
Papa Francesco pronto a incontrare Putin: “Non mi ha ancora risposto, per la pace non c’è abbastanza volontà”
“Ho chiesto al cardinale Parolin, dopo venti giorni di guerra, di fare arrivare a Putin il messaggio che io ero disposto ad andare a Mosca. Certo, era necessario che il leader del Cremlino concedesse qualche finestrina. Non abbiamo ancora avuto risposta e stiamo ancora insistendo, anche se temo che Putin non possa e voglia fare questo incontro in questo momento. Ma tanta brutalità come si fa a non fermarla?”. Così Papa Francesco in un’intervista esclusiva al Corriere della Sera ha parlato della guerra in Ucraina, e dei suoi appelli per ottenere almeno un cessate il fuoco che per ora restano inascoltati.
“Il primo giorno di guerra ho chiamato il presidente ucraino Zelensky al telefono – ha raccontato ancora Bergoglio – Putin invece non l’ho chiamato. L’avevo sentito a dicembre per il mio compleanno ma questa volta no, non ho chiamato. Ho voluto fare un gesto chiaro che tutto il mondo vedesse e per questo sono andato dall’ambasciatore russo. Ho chiesto che mi spiegassero, gli ho detto ‘per favore fermatevi’. Ma tanta brutalità come si fa a non fermarla? Venticinque anni fa con il Ruanda abbiamo vissuto la stessa cosa”.
Francesco ha spiegato che per il momento non andrà in visita a Kiev come in tanti gli hanno chiesto. “Io sento che non devo andare. Io prima devo andare a Mosca, prima devo incontrare Putin. Ma anche io sono un prete, che cosa posso fare? Faccio quello che posso. Se Putin aprisse la porta…”. Racconta invece della sua conversazione di 40 minuti online con Kirill, capo della Chiesa ortodossa russa. “I primi venti con una carta in mano mi ha letto tutte le giustificazioni alla guerra. Ho ascoltato e gli ho detto: di questo non capisco nulla. Fratello, noi non siamo chierici di Stato, non possiamo utilizzare il linguaggio della politica, ma quello di Gesù. Siamo pastori dello stesso santo popolo di Dio. Per questo dobbiamo cercare vie di pace, far cessare il fuoco delle armi. Il Patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin. Io avevo un incontro fissato con lui a Gerusalemme il 14 giugno. Sarebbe stato il nostro secondo faccia a faccia, niente a che vedere con la guerra. Ma adesso anche lui è d’accordo: fermiamoci, potrebbe essere un segnale ambiguo”.
Sull’invio di armi in Ucraina il Papa ha detto: “Non so rispondere, sono troppo lontano, all’interrogativo se sia giusto rifornire gli ucraini — ragiona — .La cosa chiara è che in quella terra si stanno provando le armi. I russi adesso sanno che i carri armati servono a poco e stanno pensando ad altre cose. Le guerre si fanno per questo: per provare le armi che abbiamo prodotto. Così avvenne nella guerra civile spagnola prima del secondo conflitto mondiale. Il commercio degli armamenti è uno scandalo, pochi lo contrastano. Due o tre anni fa a Genova è arrivata una nave carica di armi che dovevano essere trasferite su un grande cargo per trasportarle nello Yemen. I lavoratori del porto non hanno voluto farlo. Hanno detto: pensiamo ai bambini dello Yemen. È una cosa piccola, ma un bel gesto. Ce ne dovrebbero essere tanti così”.
Il Papa spera che la guerra possa finire presto ma sa che il percorso è lungo e difficile. “Per la pace non c’è abbastanza volontà — ha detto — la guerra è terribile e dobbiamo gridarlo. Per questo ho voluto pubblicare con Solferino un libro che ha come sottotitolo ‘Il coraggio di costruire la pace’. Orbán, quando l’ho incontrato mi ha detto che i russi hanno un piano, che il 9 maggio finirà tutto. Spero che sia così, così si capirebbe anche la celerità dell’escalation di questi giorni. Perché adesso non è solo il Donbass, è la Crimea, è Odessa, è togliere all’Ucraina il porto del Mar Nero, è tutto. Io sono pessimista, ma dobbiamo fare ogni gesto possibile perché la guerra si fermi”.
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