Il mondo ortodosso è in fermento – abbiamo documentato le critiche teologiche al Patriarca Kirill filo-Putin. Però anche il mondo cattolico non scherza. Papa Francesco è per la pace, come dice chiaramente nel libro di cui pubblichiamo nella pagina a fianco un estratto dell’introduzione inedita. Il volume raccoglie molti degli interventi che papa Francesco ha svolto in 50 giorni di guerra. Praticamente a ogni occasione di incontro, ogni discorso – dalle udienze generali alle udienze dei gruppi e gli Angelus domenicali – il Papa ha martellato in progressione sull’ingiustizia e iniquità della guerra, di ogni guerra, decretando la fine del concetto di “guerra giusta” (discorso del 18 marzo 2022). Il volume contiene di più: riprende alcuni passaggi dell’Enciclica Fratelli Tutti e di altri testi – anche del magistero di Benedetto XVI e dei Padri della Chiesa – per far cogliere la linea netta a favore della pace.

Non pacifismo, non semplicemente approccio nonviolento, ma l’affermazione che la pace è l’unica condizione possibile per lo sviluppo dei popoli. È il Magistero cattolico che si distingue dal pacifismo in quanto filosofia o movimento etico. Nell’introduzione, papa Francesco racconta anche qualcosa di se stesso, da quando fin dall’origine del pontificato ha spesso parlato di terza guerra mondiale “a pezzi”. Oggi fa un passo avanti: di fronte a una sora di “ineluttabilità”, riafferma con forza che “la guerra non è ineluttabile!”. E aggiunge: «Quando ci lasciamo divorare da questo mostro rappresentato dalla guerra, quando permettiamo a questo mostro di alzare la testa e guidare le nostre azioni, perdono tutti, distruggiamo le creature». E proprio nell’introduzione troviamo un importante apprezzamento a favore di mons. Tonino Bello, che la Chiesa sta portando sulla strada della santità. Il compianto vescovo pugliese, per tanti anni presidente di Pax Christi – il movimento cattolico a favore della pace – scriveva e diceva che tutti i conflitti e le guerre “trovano la loro radice nella dissolvenza dei volti”.

E papa Francesco lo spiega così: «Quando cancelliamo il volto dell’altro, allora possiamo far crepitare il rumore delle armi. Quando l’altro, il suo volto come il suo dolore, ce lo teniamo davanti agli occhi, allora non ci è permesso sfregiarne la dignità con la violenza». Nel libro queste frasi diventano Magistero di tutta la Chiesa, come sottolinea Andrea Tornielli nella postfazione, ricordando la linea ininterrotta, da Pio IX, contro la guerra. Quei Papi dell’Ottocento e del Novecento avevano ben chiaro, rispetto ai conflitti europei, che si trattava di guerre tra cristiani, dunque conflitti impossibili da giustificare. Oggi la situazione è più complicata, non solo perché le armi – come giustamente papa Francesco analizza – ammazzano di più, molto di più e non si può non tener conto della violenza tremenda verso le popolazioni civili. È più complicata perché la propaganda fa sembrare minoritario e residuale il Magistero del Papa, lo lascia da solo in prima linea, senza “esercito” dietro di lui.

Nel mondo cattolico qualcosa sta accadendo. Lo vediamo ora all’inizio della Settimana Santa. Domani in processione al Colosseo nella Via Crucis ci saranno una donna russa e una donna ucraina, fianco a fianco. Scelta criticata non solo dall’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede ma soprattutto dall’arcivescovo greco-cattolico di Leopoli, mons. Sviatoslav Shevchuk. Taglienti le sue frasi: «Considero questa idea inopportuna e ambigua perché non tiene conto del contesto di aggressione militare russa contro l’Ucraina. Per i greco-cattolici dell’Ucraina, i testi e i gesti della XIII stazione di questa Via Crucis sono incomprensibili e persino offensivi, soprattutto in attesa del secondo, ancora più sanguinoso attacco delle truppe russe contro le nostre città e villaggi. So anche che i nostri fratelli cattolici del rito latino condividono con noi questi pensieri e preoccupazioni». All’arcivescovo si è incaricato di rispondere padre Antonio Spadaro, Direttore di La Civiltà Cattolica sicuramente la più autorevole e prestigiosa rivista ecclesiale. Oltre che con i post su Twitter, ha argomentato su Il Manifesto che «Francesco agisce secondo lo spirito evangelico, che è di riconciliazione anche contro ogni speranza visibile durante questa guerra di aggressione.

Traduce, dunque, Francesco in un tweet: «Il Signore non ci divide in buoni e cattivi, in amici e nemici. Per Lui siamo tutti figli amati». Il suo interesse primo non è la geopolitica, ma – come ha detto tre giorni dopo lo scoppio della guerra – la «gente comune, che vuole la pace; e che in ogni conflitto è la vera vittima, che paga sulla propria pelle le follie della guerra». Fratelli tutti, dunque. Figli tutti. Da qui il grido «Fermatevi!», seconda persona plurale. Però la diatriba interna fa capire che nel mondo cattolico la pace non è così accettata. Le frasi dell’arcivescovo greco-cattolico mostrano una tentazione sempre in agguato: il risorgere del nazionalismo nella Chiesa. Lo vediamo all’opera in diverse maniere. Ad esempio conferenze episcopali che vorrebbero procedere su strade proprie (a caso: la Germania nel Sinodo in corso, oppure gli Usa con le spaccature tra vescovi rispetto al pontificato). Ancora non siamo alle “chiese nazionali” caratteristica del mondo ortodosso, però le frasi di Shevchuk ci dicono che nell’Est europeo l’influsso dell’ortodossia – lì sì ci sono chiese nazionali – si estende anche al mondo cattolico con la tentazione – ulteriore – di rendere santa la guerra perché per l’arcivescovo greco-cattolico Dio dovrebbe benedire la propria parte. Evidentemente per gli ortodossi vale lo stesso ed ognuno tira Dio da una parte sola.

Però dietro c’è qualcosa di più. Il conflitto in corso sposta drasticamente gli equilibri ecclesiali. Papa Francesco sta facendo avanzare la teologia con il rifiuto dell’idea di “guerra giusta” – finora bene accetta ai teologi moralisti. Sta facendo avanzare la teologia con la Fratelli Tutti e l’idea di fratellanza universale (nel 2019 ha firmato una Dichiarazione comune con il mondo musulmano). E la teologia che fa? Resta indietro, abbastanza drammaticamente. Con l’eccezione di mons. Giuseppe Lorizio, docente di teologia fondamentale a Roma, che tre giorni fa ha detto chiaro e tondo che serve una teologia “militante” di fronte ai drammi di oggi. Ed ha aggiunto: le università cattoliche e i teologi devono aprirsi alla realtà, non restare chiusi nelle aule. Tra gli esempi di chi prende sul serio il Papa, cita il documento dei dieci teologi (coordinati da mons. Paglia e dalla Pontificia Accademia per la Vita) che quasi un anno fa chiedeva, poco ascoltato, un rinnovamento della teologia nel senso e nel segno della “fraternità”.

Nell’introduzione i dieci teologi scrivono che «in questa congiuntura, avvertiamo che è moralmente chiuso il tempo di ogni civetteria intellettuale con l’esercizio spensierato del relativismo dissacratore (…) come anche il tempo della ottusa ripetizione di formule sacre che custodiscono un vuoto di affetti e di legami capaci di rianimare, per tutti, nel segno della nominazione di Dio, la speranza evangelica di una comune destinazione della creatura umana (…) In questo spirito di fraternità intellettuale e testimoniale, molto può essere utilmente discusso: ma nulla andrà inutilmente disperso. L’appello allo spirito della fraternità non può essere consumato nel degrado di una visione empatica e sentimentale dell’unità della specie; né venire consegnato alla visione mitica e utopica di una romantica politica del benessere senza confini. la riabilitazione della fraternità è un tema serio, che va pensato ad una profondità ancora inesplorata, per la nostra epoca: dal cristianesimo e dalle religioni, dalla politica e dal potere, dalla filosofia e dalla scienza». Il tema dell’appello è questo: dentro la fraternità intellettuale tutto può essere guadagnato, al di fuori di essa, tutto può venire perduto. L’umano che è comune, a cominciare da quello in mille modi avvilito e abbandonato, è il suo riscontro decisivo. E il tema del suo giudizio ultimo: per tutti (Mt 25, 31-46).

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Giornalista e saggista specializzato su temi etici, politici, religiosi, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato, tra l’altro, Geopolitica della Chiesa cattolica (Laterza 2006), Ratzinger per non credenti (Laterza 2007), Preti sul lettino (Giunti, 2010), 7 Regole per una parrocchia felice (Edb 2016).