Papa Francesco è contro la guerra: non questa guerra ma proprio contro ogni guerra. Lo ha ribadito in questi giorni con estrema, ulteriore fermezza. Ad esempio nell’Angelus di domenica 27 marzo: «È passato più di un mese dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, dall’inizio di questa guerra crudele e insensata che, come ogni guerra, rappresenta una sconfitta per tutti, per tutti noi. C’è bisogno di ripudiare la guerra, luogo di morte dove i padri e le madri seppelliscono i figli, dove gli uomini uccidono i loro fratelli senza averli nemmeno visti, dove i potenti decidono e i poveri muoiono». L’espressione-chiave è l’ultima: “i potenti decidono e i poveri muoiono”, interpretata soltanto in chiave anti-Putin. Sagacemente, qualcuno (leggi Corriere della Sera) all’inizio del viaggio a Malta ha interpretato una frase del Papa come un attacco a Putin “senza citarlo”.

La frase è questa: «Mentre ancora una volta qualche potente, tristemente rinchiuso nelle anacronistiche pretese di interessi nazionalisti, provoca e fomenta conflitti, la gente comune avverte il bisogno di costruire un futuro che, o sarà insieme, o non sarà. Ora, nella notte della guerra che è calata sull’umanità, non facciamo svanire il sogno della pace». Frase che messa insieme alla precedente, delinea un Papa contro “i potenti” ed anche “il potente di turno” o “qualche potente” implica che ce ne siano più di uno. Forse farebbe piacere avere soltanto un cattivo, ma in una visione non manichea del mondo, le analisi prevedono una maggiore complessità di situazioni. Perché i potenti decidono, i poveri muoiono; e la denuncia deve far riflettere e imporre azioni per la pace. Ma c’è di più. In questo impegno continuo contro la guerra, papa Francesco ha superato il concetto di “guerra giusta” che ha imperversato nella dottrina cattolica. E ancora qualche teologo moralista stenta a credere di doversi aggiornare. Il 18 marzo il Papa ha definitivamente affossato il concetto di “guerra giusta”: “Non esistono le guerre giuste: non esistono!”, ha spiegato parlando ai partecipanti al Congresso Internazionale “Educare alla democrazia in un mondo frammentato”.

Ecco, qui è il punto. C’è qualche teologo che ancora non ha capito. Per esempio Mauro Cozzoli, teologo moralista, noto a un pubblico più vasto per le diverse apparizioni al programma televisivo Forum condotto da Barbara Palombelli. Ogni volta che si discute di famiglia, corriamo il rischio di trovare Cozzoli a commentare. E così forse gli è sfuggita la frase del Papa sul superamento dell’idea di “guerra giusta”. Perché in un’intervista all’agenzia Ansa, Cozzoli discetta di “guerre giuste”, appunto. Nota che «una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento», nel caso di un’aggressione «non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa». E la responsabilità di tale legittima difesa «può indurre anche altre nazioni a sostenere e aiutare la resistenza del popolo aggredito». La distanza con il Papa è abbastanza rilevante. Da parte mia preferisco seguire quest’ultimo. Si tratterà ora di aggiornare la Dottrina Sociale e il Catechismo, che parla di “guerra giusta” solo nel contesto di una “legittima difesa” contro un’aggressione e secondo condizioni stringenti. In ogni caso il Catechismo stesso non giustifica mai l’uccisione o gli atti violenti contro una popolazione civile (paragrafi 2307-2317) e chiede che si faccia tutto il possibile, sempre, per non ricorrere alle armi. Così come è cambiata la visione dottrinale (ed il Catechismo) sulla pena di morte (oggi sempre non giustificata né giustificabile), la guerra in corso e soprattutto le tecnologie sofisticate a servizio dei conflitti armati stanno suscitando una revisione della dottrina sociale sulla guerra giusta.

Tornando da Malta, domenica sera, papa Francesco ha alzato l’asticella ancora un po’ di più, articolando un ragionamento complesso, che vale la pena di seguire per intero. Ha detto esattamente così: «Ogni guerra nasce da un’ingiustizia, sempre. Perché è lo schema di guerra, non è lo schema di pace. Per esempio, fare investimenti per comprare le armi. Mi dicono: ma ne abbiamo bisogno per difenderci. E questo è lo schema di guerra. Quando finì la Seconda Guerra Mondiale, tutti hanno respirato e detto ‘mai più la guerra: la pace!’, ed è incominciata un’ondata di lavoro per la pace, anche con la buona volontà di non fare le armi, tutte, anche le armi atomiche, in quel momento, dopo Hiroshima e Nagasaki. Era una grande buona volontà». Stabilito questo primo punto, ha poi proseguito: «Settant’anni dopo, ottant’anni dopo abbiamo dimenticato tutto questo. È così: lo schema della guerra si impone. Tante speranze nel lavoro delle Nazioni Unite, in quel momento. Ma lo schema della guerra si è imposto un’altra volta. Noi non possiamo, non siamo capaci di pensare un altro schema, perché non siamo più abituati a pensare con lo schema della pace.

Ci sono stati dei grandi: Gandhi e tanti altri, che menziono alla fine dell’Enciclica Fratelli tutti, che hanno scommesso sullo schema della pace. Ma noi siamo testardi! Siamo testardi come umanità. Siamo innamorati delle guerre, dello spirito di Caino. Non a caso all’inizio della Bibbia c’è questo problema: lo spirito “cainista” di uccidere, invece dello spirito di pace. Vi dico una cosa personale: quando sono andato nel 2014 a Redipuglia e ho visto i nomi, ho pianto. Davvero, ho pianto, con amarezza. Uno o due anni dopo, per il giorno dei Defunti sono andato a celebrare ad Anzio, e anche lì ho visto i ragazzi che nello sbarco di Anzio sono caduti: c’erano i nomi, tutti giovani. E anche lì ho pianto. Davvero. Non capivo. Bisogna piangere sulle tombe. Io rispetto, perché c’è un problema politico, ma quando c’è stata la commemorazione dello sbarco in Normandia i Capi di governo si sono riuniti per commemorarlo; ma non ricordo che qualcuno abbia parlato dei trentamila soldati giovani che sono rimasti sulle spiagge. Si aprivano le barche, uscivano ed erano mitragliati lì, sulle spiagge. La gioventù non importa? Questo mi fa pensare e mi fa dolore. Io sono addolorato per questo che succede oggi. Non impariamo. Che il Signore abbia pietà di noi, di tutti noi. Tutti siamo colpevoli!»,

Eccolo qui papa Francesco, netto e per intero. Allora la domanda è: la Chiesa tutta (quella cattolica, ovviamente, 1,2 miliardi nel mondo) avrà il coraggio di prenderlo sul serio? I politici che al Papa dicono di ispirarsi e fanno la fila per andare in udienza (pensiamo a Biden, cattolico) prenderanno queste frasi con la dovuta attenzione? In effetti il messaggio è decisivo: la guerra è sempre ingiusta, le armi sempre sbagliate. L’unica strada da percorrere è il dialogo. In questo senso vanno le due notizie che hanno fatto capolino durante il viaggio a Malta: l’ipotesi di una visita in Ucraina, la possibilità di un nuovo incontro con il Patriarca di Mosca Kirill (appuntamento peraltro già in agenda prima del conflitto).

Il conflitto in Ucraina ha spostato tutto il baricentro geopolitico dell’Europa e delle Chiese cristiane cioè i cattolici, gli ortodossi, il mondo protestante. Dal canto loro i media hanno un grande lavoro per mettere la sordina alla richiesta incessante di pace. E forse, almeno in Italia, si dimentica un interessante articolo della Costituzione. L’art. 11 dice, precisamente, che «l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». Non si parla di guerra con definizioni – tipo “giusta” oppure “ingiusta” o di aggressione e difesa – ma proprio di tutta la guerra. Forse sarebbe il momento di fare tutti un passo avanti verso l’asticella di papa Francesco.

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Giornalista e saggista specializzato su temi etici, politici, religiosi, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato, tra l’altro, Geopolitica della Chiesa cattolica (Laterza 2006), Ratzinger per non credenti (Laterza 2007), Preti sul lettino (Giunti, 2010), 7 Regole per una parrocchia felice (Edb 2016).