La provocazione
Siamo colpevoli di concorso esterno
Sistematica attività di delegittimazione della battaglia contro la criminalità organizzata e metodica contestazione della magistratura impegnata a condurla. Incessante azione di turbativa presso le forze politiche, il sistema dell’informazione e i corpi sociali, tesa a demotivarne lo spirito legalitario e antimafioso e a pervertirlo nel pregiudizio di un garantismo pretestuoso. Strutturale sodalizio con l’associazionismo forense nel preordinato disegno di favorire, così in ambito processuale come in regime carcerario, la posizione degli esponenti mafiosi e dei loro familiari, quelli e questi oggettivamente avvantaggiati dal temibile clima concessivo determinatosi per effetto di quell’alleanza istigatrice.
Sono punibili simili comportamenti? Leggere una qualsiasi motivazione posta a fondamento di una richiesta di arresto o di una sentenza in materia di “concorso esterno” porta a ritenere che sì, comportamenti come quelli potrebbero essere puniti.
E allora noi ne siamo responsabili e ci autodenunciamo. Ci autodenunciamo perché abbiamo scritto, e ripetiamo, che non si fanno indagini giudiziarie per avviare una “rivoluzione”, e che una giustizia che vuol smontare una regione come un giocattolo non ci piace perché non protegge ma distrugge la società che vi è sottoposta. Ci autodenunciamo perché riteniamo, e non smetteremo di scrivere, che gli innumeri innocenti in galera non appartengono alla fisiologia di nessun sistema civile. Ci autodenunciamo perché consideriamo il presidio emergenziale antimafia un segno di negazione, non di affermazione della nostra civiltà giuridica. Ci autodenunciamo perché nell’affievolimento del rigore carcerario vediamo il progresso liberale, non l’arretramento connivente del nostro ordinamento di giustizia. Ci autodenunciamo perché se la cultura antimafiosa deve essere quella che ha comandato nell’amministrazione della giustizia in questi decenni, allora siamo responsabili di averne desiderato la sconfitta e faremo quel che ci è dato di fare – il pochissimo che purtroppo ci è dato di fare – per contribuire a sconfiggerla. Ci autodenunciamo perché non vogliamo abbassare la guardia contro quella cultura, e finché ci sarà possibile lavoreremo per convincere altri ad alzarla con noi. Ci autodenunciamo perché non accettiamo il ricatto – questo sì d’impronta mafiosa – per cui si sta dalla parte dei criminali o da quella di coloro che li combattono, e non lo accettiamo perché parteggiamo altrove e altrimenti: per lo Stato di diritto, questa cosa che non si realizza nell’arresto di una signora che ha concesso troppi minuti d’aria a un sepolto vivo.
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