Johnny lo Zingaro è evaso. Non è rientrato da un permesso premio nel carcere di massima sicurezza di Sassari. Lo cercano con gran dispiego di forze e mezzi sull’isola e sul Continente e ormai è quasi un’abitudine. È la sesta evasione e nel 1987 la caccia coinvolse centinaia di agenti, paralizzò la Capitale ed entrò a pieno titolo nella leggenda noir di Roma. Sono passati 23 anni da quella notte brava, fra il 23 e il 24 marzo 1987, che trasformò Giuseppe Mastini, Johnny lo Zingaro, allora di 27 anni, in uno dei protagonisti assoluti della Roma criminale. Era latitante da poco più di un mese, da quando, alla fine di un permesso premio di 8 giorni, il primo dopo 12 anni di carcere, non era rientrato in prigione. Nel corso di quel mese aveva messo a segno una serie di rapine, bar, benzinai, automobilisti. Sono rapine frettolose, quasi sgangherate: quando gli capitano fra le mani una ventina di milioni in un borsetto, Johnny, strafatto di coca e di alcool, neanche se ne accorge e molla la borsa ancora piena.

La notte di follia inizia col furto di una macchina: pistola puntata e richiesta secca al guidatore di smammare. Con Mastini c’è Zaira Pochetti, vent’anni, figlia di una famiglia poverissima di Passoscuro. Sono pescatori: Zaira è la prima ad arrivare all’università, l’orgoglio della famiglia. Ha conosciuto l’evaso da qualche settimana ed è diventata la Bonnie delle borgate romane. Bel ragazzo, nato a Bergamo da una famiglia di giostrai Sinti. Si trasferisce a Roma con tutta la famiglia nel ‘70. Abitano una roulotte e di scuole neanche a parlarne: Giuseppe, non ancora Johnny, manda avanti la giostra e ancora quasi con i calzoni corti inizia a rubare macchine. Però non rivende i pezzi come fanno tutti. Gli piace guidare. Adora correre. A 11 anni si ritrova coinvolto in uno scontro a fuoco con la polizia. Nessuna vittima, ma viene colpito e gli resta in eredità un piede claudicante.

Nel 1975 una rapina da due soldi, 10mila lire che erano ben poche anche allora, finisce con la morte del rapinato, un autista di tram, Vittorio Bigi. Il corpo viene occultato e ritrovato solo dopo una settimana. La testimonianza di un taxista incastra Mastini e un coetaneo. “Lo zingaro” negherà sempre quel delitto, è lui stesso del resto a costituirsi, ma viene lo stesso condannato a 11 anni. Pochi giorni ed evade dal carcere minorile di Casal del Marmo. Lo riprendono subito, ma l’anno seguente evade di nuovo e stavolta è lui stesso a consegnarsi dopo qualche giorno. Nel 1981 nuova evasione, ma stavolta senza ripensamenti. Resta libero un paio d’anni, poi lo trovano. Torna in carcere e diventa un’altra persona, tanto da arrivare a un passo dalla semilibertà e da ottenere il permesso premio che gli costerà l’esistenza nel 1987. Perché non rientra in carcere, pur sapendo di avere la libertà a portata di mano? «Colpa della cocaina», spiegherà lui. «L’ultimo giorno di permesso avevo deciso di rivedere i vecchi amici. Una cena, poi qualcuno propone una botta, poi una seconda botta e con la cocaina non ragioni più». Forse il colpo di testa è davvero colpa del mix di coca e alcol. Forse invece è il carattere di Johnny: uno che scappa e corre per natura.

La notte del 23 marzo, oltre alla macchina, Johnny e Zaira si portano via anche un ostaggio: Silvia Leonardi, bella e anche lei giovanissima. Le versioni divergono. Secondo Mastini la ragazza, paralizzata dal terrore, era rimasta nella Lancia. Lei afferma il contrario, dice di essere stata costretta a rimanere con i sequestratori. Nella corsa scoppia una gomma. I sequestratori e l’ostaggio continuano a piedi, poi fermano un’altra macchina, una 128, e pistola alla mano Johnny se ne impadronisce. Non è ancora una tragedia. Lo diventa quando un’auto della polizia in borghese inizia a tallonare la 128. Johnny spara, uccide un poliziotto della sua stessa età, Michele Giraldi, ne ferisce gravemente un altro. Si difenderà, al processo, dicendo che ad aprire il fuoco erano stati i poliziotti. Le perizie balistiche lo smentiscono. Il poliziotto sopravvissuto lo accuserà anche di essersi avvicinato al collega già ferito per dargli il colpo di grazia. In questo caso sarà la testimonianza di Silvia, l’ostaggio, a confutare le truce versione.

Dopo la sparatoria la fuga continua. Johnny vede una macchina come piacciono a lui, una che corre davvero. È di un carabiniere e nella seconda sparatoria non ci scappa un secondo cadavere solo per miracolo. Alla fine lo Zingaro rinuncia. Dopo un po’ lascia libera la ragazza, non prima di averci provato con le maniere forti: «Aveva allontanato Zaira e voleva stuprarmi, ma lei è tornata e ha rinunciato». La caccia all’uomo è di quelle che a Roma si contano su una mano sola. Centinaia di auto. Posti di blocco ovunque. Titoloni sparati a tutta pagina. Il 24 marzo la prima a essere presa è Zaira. Johnny, rifugiatosi in un capannone, si arrenderà qualche ora dopo. Zaira Pochetti non si riprenderà più. Finisce in un vortice di depressione a anoressia grave.

Il giudice concede i domiciliari, ma non serve a niente. Morirà nel dicembre 1988. C’è un terzo omicidio di cui Giuseppe Mastini deve rispondere: quello del console italiano in Belgio Paolo Buratti, ucciso nel corso di una rapina nella sua casa di Sacrofano durante le sue settimane di latitanza. La moglie indica Johnny come l’assassino, ma fa confusione col colore dei capelli e in casa, nonostante il rapinatore abbia rovistato dappertutto, nessuna impronta digitale coincide con quella dello Zingaro. Col tempo, in carcere, finisce sotto indagine anche per l’omicidio di Pier Paolo Pasolini. Era amico di Pelosi, “Pino la Rana” e di alcuni degli altri sospettati. Lo scagionerà lo stesso Pelosi, prima di morire.

Ci vuole un ventennio perché lo Zingaro esca per la prima volta di nuovo. Gli permettono di assistere a un concerto dei Prodigy, dato che, entrato in carcere analfabeta, sta studiando da giornalista musicale. La direzione del carcere la prende male. Gli contesta irregolarità di poco conto commesse nel corso di quelle ore di libertà. Lo Zingaro ottiene la semilibertà ma, incorreggibile, il 30 giugno 2017 non rientra in prigione. Un’evasione romantica. È rientrato in contatto con la sua prima fidanzatina, Giovanna Truzzi, che peraltro si trova anch’essa ai domiciliari, si sono rimessi insieme dopo decenni, coordinano la fuga d’amore. Li ritrovano dopo 25 giorni in casa della sorella di lei, a Taverne d’Arbia. Ieri Johnny lo Zingaro è scappato di nuovo. I Gang, nella canzone che gli avevano dedicato nel 1991, cantavano: «Johnny non si arrenderà. Né finestre né mura né celle mai potranno fermare la sua libertà». Forse avevano ragione.