Massimiliano aveva 44 anni ed era malato di sclerosi multipla. È morto ieri in Svizzera, dove ha potuto accedere al suicidio assistito, dopo non essere riuscito a ottenerlo in Italia. “Perché non posso farlo qui in Italia? A casa mia, anche in un ospedale, con i parenti, gli amici” vicino. “No, devo andarmene in Svizzera. Non mi sembra una cosa logica questa”, ha detto nel suo ultimo messaggio. “Sono costretto ad andarmene via, per andarmene via”. A dare la notizia l’associazione Luca Coscioni che ha seguito e offerto assistenza al 44enne.

Massimiliano aveva “già prenotato l’appuntamento in Svizzera, ma stava aspettando una risposta da parte della politica italiana, che però non è arrivata”. Era malato da sei anni, lunedì scorso aveva lanciato un appello per poter morire a casa sua, in Italia. “Sono quasi completamente paralizzato e faccio fatica anche a parlare. Da un paio di anni siccome non ce la faccio più” ho iniziato “a documentarmi su internet su metodi di suicidio indolore”, e “finalmente ho raggiunto il mio sogno. Peccato che non l’ho raggiunto in Italia, ma mi tocca andare all’estero”.

L’appello invitava la politica a intervenire, “perché venga fatta una legge per tutti quelli come me. Mi sono offerto volontario per questa battaglia legale. Sono già morto. Mi manca tutto: il mio lavoro di manutentore in un villaggio turistico, suonare, uscire con gli amici e divertirmi. Non ho più nulla“. Massimiliano raccontava nel suo ultimo appello che poteva muoversi solo in sedia a rotelle, con l’aiuto di qualcuno, non sono più autonomo in niente. La malattia progredisce e peggiora giorno dopo giorno, riesco ancora a muovere il braccio destro, ma mi sta abbandonando pure lui, non ha più presa, mi sento intrappolato in un corpo che non funziona più. Se non avessi paura del dolore avrei già provato a togliermi la vita più di un anno fa. Per questo, vorrei essere aiutato a morire, senza soffrire, in Italia. Ma non posso perché non dipendo da trattamenti vitali. Sto pensando di andare in un altro Paese”.

Il 44enne è stato accompagnato in una clinica in Svizzera “da Felicetta Maltese, 71 anni, iscritta all’associazione Luca Coscioni e attivista della campagna Eutanasia Legale e da Chiara Lalli, giornalista e bioeticista”. Entrambe le donne oggi andranno ad autodenunciarsi ai carabinieri di Firenze, accompagnate dall’avvocatessa e segretaria dell’Associazione Coscioni Filomena Gallo. “Oggi la politica si volge dall’altro lato. Fa finta che queste richieste non esistano. Lo abbiamo visto anche con Massimiliano. Non c’è stata nessuna presa di atto rispetto al suo appello. Almeno potevano rispondere, dire che non è una priorità di questa legislatura. Ma il compito del legislatore rimane, perché deve emanare leggi che riguardino tutti i cittadini”, ha dichiarato Gallo.

 

Questi malati sono discriminati, anche se la loro volontà è la stessa di chi ha sostegni vitali. E la Corte costituzionale fin dal 2018 ha rilevato che nel nostro ordinamento c’era un `vulnus´. La Corte lo ha cercato di colmarlo parzialmente con i mezzi a disposizione, con una sentenza di incostituzionalità, ma non poteva emanare una legge. Ha chiesto al Parlamento di intervenire” e invece “il Parlamento ha fatto un tentativo nella scorsa legislatura che era addirittura un passo indietro e introduceva nuovi ostacoli. Per fortuna quella legge non è stata emanata. Come Associazione Coscioni noi proponiamo al Parlamento di intervenire proponendo una buona legge e attivando le giurisdizioni. I malati che hanno chiesto aiuto a Marco Cappato volevano essere liberi di scegliere e non mettere a rischio i propri cari”.

A lanciare un appello per il figlio anche il padre di Massimiliano, Bruno, apparso in un video accanto al 44enne. “È cosciente della sua vita. Lui è lucido di mente. È arrivato a questo punto qui perché non ce la fa più. Non ce la fa più. È una sofferenza continua, giorno dopo giorno. È un volere suo, perché deve negare questo volere. Il corpo è suo, lo sente lui cosa soffre. E noi non possiamo dire di no. Sarebbe solo egoismo, per farlo soffrire ancora di più. Vorrei che fosse una cosa fatta in Italia”. Quattro sono le condizioni stabilite dalla storica “sentenza Cappato” sul caso di Dj Fabo della Corte Costituzionale nel 2019 a partire dalla quale era stato depenalizzato in alcuni casi l’aiuto al suicidio: che il paziente sia tenuto in vita da trattamento di sostegno vitali; che sia affetto da una patologia irreversibile; che la sua patologia sia fonte di sofferenze intollerabili; che sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli

Marco Cappato, tesoriere dell’associzione Coscioni, si è di recente di nuovo autodenunciato ed è di nuovo indagato per aver accompagnato in una clinica svizzera Romano, un 82enne malato di Parkinson, così come era stato iscritto al registro degli indagati lo scorso agosto per il caso di Elena, una donna veneta di 69 anni affetta da una patologia polmonare irreversibile. L’accusa è di aiuto al suicidio, previsto all’articolo 580 del codice penale italiano, rischia dai sei ai 12 anni di carcere.

 

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.