Alla fine della settimana prossima l’Europa non sarà più come prima. Il Consiglio Europeo del 27 e 28 giugno vede un’agenda corposa e impegnativa con le cariche apicali e l’Ucraina, le politiche per la sicurezza e le sanzioni alla Russia, il Medio Oriente. Non solo nomine, quindi, ma tutto l’asse strategico e la roadmap per il futuro lavoro sulle riforme interne. Una versione rivista delle conclusioni sarà discussa dal Coreper lunedì sera, prima di essere trasmessa ai ministri degli Affari europei e di ritornare al Coreper mercoledì 26. Sul tavolo ci sono i nomi di Ursula von der Leyen per la Commissione, Antonio Costa per il Consiglio Europeo, Kaja Kallas favorita come Alto Rappresentante.

Con l’olandese Mark Rutte a capo della Nato, si fanno meno insidiose le chances dei due principali concorrenti dell’estone Kallas, entrambi targati Benelux: il premier belga uscente Alexander De Croo e l’ex premier lussemburghese Xavier Bettel. “Aspettatevi un lungo Consiglio Europeo”, avverte una fonte Ue. Oltre ai vertici dell’Ue per la legislatura 2024-29, per la quale si può decidere a maggioranza qualificata, si metteranno a terra misure concrete per l’Ucraina, come sempre da quando è iniziato l’attacco di Putin nel cuore dell’Europa. In cima a tutto, sotto questo capitolo, ci sarà la European Peace Facility, lo strumento fuori bilancio usato per veicolare gli aiuti militari a Kiev. Si discuterà anche degli impegni in materia di sicurezza, dei beni immobilizzati e dei prestiti decisi dal G7, del vertice di pace, dell’apertura dei negoziati di adesione all’Ue e delle sanzioni contro la Russia.

E’ sulla votazione per Ursula von der Leyen che si concentra la diplomazia. E il peso italiano, con Fdi/Ecr così forte, diventa determinante. Giorgia Meloni ha chiesto discontinuità e candidato l’Italia ad assumere ruoli apicali importanti. Von der Leyen chiede il sostegno del partito della destra italiana ma non sembra poterle concedere molto. Sul piatto ci sono le candidature di due ministri: Giancarlo Giorgetti, date in lieve calo dopo l’esito del voto, e Raffaele Fitto. Ma anche quelle di due outsider non proprio collaterali come Letizia Moratti, in quota FI e dunque Ppe, o il tecnico Daniele Franco che in Europa rappresenterebbe l’autorevolezza di Mario Draghi. Meloni sembrerebbe anche tentata di chiudere la partita sui commissari calando l’asso di una donna che rafforzerebbe l’autorevolezza italiana senza costringere il governo a un rimpasto ravvicinato: la carta Elisabetta Belloni, direttore del DIS, è sul tavolo di Palazzo Chigi. Fitto rimane però in pole position, anche perché saprebbe già dove mettere le mani, andando in Europa.

Però comporta un rimpasto. Quello che si chiamerà governo Meloni bis a questo punto potrebbe perfino fare la sua comparsa a luglio, con i talk show spenti e il dibattito politico in vacanza. Giorgetti non vuole farsi mettere i piedi in testa e ha alzato la voce, giovedì, al Consiglio dei governatori europei: ha denunciato che l’Italia è “stata estromessa dalle trattative”, protestando per un “atteggiamento pregiudizievole verso il nostro Paese” e sottolineando che “non è il trattamento che l’Italia si merita”. Proteste che fanno il paio con quelle di un notorio nemico di Bruxelles, Viktor Orbàn, che adesso ha nel leader dei popolari, il tedesco Manfred Weber, la sua bestia nera. Quell’alleanza tra popolari e socialdemocratici che si prospetta ora in Europa sarebbe, a sentire il premier ungherese, “una coalizione in favore della guerra e dell’immigrazione e contro l’economia”.

Il problema dei sovranisti, si sa, è che l’Internazionale Sovranista non può far altro che fallire. L’uno contro l’altro per antonomasia, i partiti della destra sovranista stanno litigando in continuazione ancora prima di veder iniziare i lavori della nuova Commissione. L’uscita di Orbàn da Ecr complica tuttavia i rapporti già incerti tra Fdi e chi come i polacchi del Pis sponsorizzava l’ingresso del partito di Orbàn, Fidesz. E Jacek Saryusz-Wolski, dirigente del partito polacco di Ecr: “Meloni vuole il controllo del gruppo e non tiene conto del parere delle altre delegazioni”. Non c’è pace, tra sovranisti. Per Orbàn restano aperte le porte del gruppo Id mentre l’orizzonte di un gruppo unico delle destre appare via via più lontana. In questo clima, gli esponenti dem italiani – anche in Europa, adulti nella stanza – si fanno sentire. Per primo, il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni, che ha riunito l’Ecofin per dare seguito al prestito da 50 miliardi all’Ucraina, da finanziare – come ha deciso il G7 – dai proventi degli asset russi immobilizzati. “Serve chiarezza, unità e velocità”, ha auspicato, “per rendere più forte il nostro sostegno all’Ucraina”. Sul portoghese Antonio Costa al vertice del Consiglio i socialisti europei fanno quadrato anche se terrebbero una carta nascosta, un piano B: Enrico Letta. E sarà un caso, ma proprio ieri l’ex segretario dem ha presentato, in fretta e furia, le sue dimissioni da Sciences Po, a Parigi.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.