“Non mi fermo, voglio sostenere e testimoniare quello che è l’essenza della trattativa Stato-Mafia che ritengo ancora attuale, come era attuale al tempo di Falcone e Borsellino. Voglio proseguire perché ritengo che non sia più un problema giudiziario ma è ancora e molto evidentemente un problema politico”.

A dirlo è l’ex generale dei carabinieri Mario Mori, già comandante del Ros, intervenendo lo scorso fine settimana al Festival della giustizia penale di Modena. “Ciancimino (Vito, ex sindaco mafioso di Palermo, ndr) non era uomo d’onore ma sapeva benissimo come muoversi. Dopo la morte di Falcone l’ho conosciuto, l’ho trattato bene per avere un confidente e feci due iniziative innovative: provare ad alzare il livello dei nostri contatti e mandare quello che ritenevo il mio ufficiale più efficiente (il capitato Ultimo, ndr) con 15 uomini a Palermo, dove gli dissi di non frequentare le caserme, ma di trovare e catturare Riina. Come diceva Dalla Chiesa quando si trovano persone di queste organizzazioni non si arrestano, ma si seguono: se non si capisce questo non si può fare alta polizia” ha aggiunto Mori, assolto dalla Cassazione all’inizio del mese dall’accusa di essere venuto a patti con la mafia per far cessare le stragi.

Mori ha raccontato della sua collaborazione con Falcone e Borsellino per l’avvio dell’indagine “Mafia-Appalti”. Dopo le loro morti “non solo la politica scomparve, ma anche le gerarchie delle forze di polizia non dissero una parola. La nostra reazione fu: vabbè siamo soli e allora combattiamo come sappiamo fare”. “Quando mi sono sentito solo, Borsellino e Falcone mi hanno dato la forza di andare avanti” ha quindi ricordato il generale.