«Trump ha scelto gli obiettivi di attacco, rilanciati dal suo fido vice Mike Pence ed il primo obiettivo di attacco è quello di estremizzare lo scontro tra gli strati bianchi e gli altri che sono accusati degli agenti del crimine organizzato». Ad affermarlo è uno dei più autorevoli studiosi di questioni americane: Massimo Teodori, professore di Storia e Istituzioni degli Stati Uniti. Tra i suoi libri sull’America, ricordiamo: Ossessioni americane. Storia del lato oscuro degli Stati Uniti (Marsilio, 2017); Obama il grande (Marsilio, 2016); Storia degli Stati Uniti e il sistema politico americano (Mondadori, 2004) e Il genio americano. Sconfiggere Trump e la pandemia globale (Rubettino, 2020).

Professor Teodori, quale bilancio si può trarre dalle convention dei Democratici e dei Repubblicani?
Partiamo da quest’ultimi. La scelta compiuta da Trump, e ribadita con veemenza evangelica dal suo vice alla presidenza Mike Pence, è molto chiara e netta: attaccare e ancora attaccare. Ed il primo obiettivo di attacco è quello di radicalizzare, estremizzare lo scontro fra gli strati bianchi che aspirano ad essere protetti nel loro benessere, nella loro tranquillità, nella loro sicurezza, e gli altri, la sinistra democratica e i vari gruppi, accusati di essere degli agenti del crimine organizzato. Questo è ancora una volta il modo di affrontare la politica da parte di Trump che è assolutamente irrituale e non rientra nella tradizione americana: radicalizzare lo scontro, dividere il Paese e soprattutto puntare sulla paura della sua constituency che è una constituency essenzialmente bianca, soprattutto di mezza età e di ceti non molto istruiti.

E il Partito Democratico?
I Democratici con la convention e prim’ancora con le primarie e con tutta la regia che è stata nelle mani di Obama, hanno compiuto una svolta: quella di puntare al centro e di assorbire, almeno fino alle elezioni e dopo si vedrà, tutta la parte più radicale nel partito. Perché negli ultimi anni, sono stati molti i movimenti che hanno cercato di spostare a sinistra l’asse democratico, da Occupy Wall Street fino allo stesso movimento nero Black Lives Matter, tutti quanti hanno cercato di affrontare e di affossare la parte centrista e moderata del Partito Democratico. La regia di Obama intorno a Biden – il quale, detto per inciso, potrà forse riservare delle sorprese anche se può sembrare una figura scolorita al momento – ha puntato decisamente a desinistrizzare una parte dei Democratici, di raccogliere tutta la parte moderata, e questo si è manifestato molto nella stessa convention virtuale dei Dem, con la messa in prima fila di tutti personaggi sostanzialmente dell’area moderata, e tentare in questa maniera di assorbire anche una parte del Partito Repubblicano che è scontenta di Trump, tanto è vero che alla convenzione ha parlato l’ex governatore dell’Ohio che è un personaggio importante repubblicano, così come Colin Powell ed altri, e questo è il segno del fatto che i Democratici sanno che negli Stati Uniti le elezioni a due si vincono sempre al centro, spostando quella parte che è molto mobile, che è molto fluttuante tra i due partiti.

Va in questa direzione la scelta come candidata alla vice presidenza della senatrice Harris?
Sì. Questa è il compimento del volto centrista e moderato del Partito Democratico, tanto è vero che Kamala Harris è stata accusata dalla esponente più radicale emersa negli ultimi anni, Alexandria Ocasio-Cortez, di essere una moderata e addirittura di aver avuto, come procuratrice prima di San Francisco e poi della California, una mano dura rispetto alle minoranze, al crimine… Questo è il segno che quello della Harris non è un volto bianco ma non è un volto che richiama un estremismo razzista al contrario.

Al voto presidenziale mancano due mesi. Su cosa dovrebbero puntare i Democratici per sconfiggere l’attuale inquilino della Casa Bianca?
I Democratici devono puntare, in primo luogo, a mandare a votare le persone. E qui c’è il grande problema del voto per posta, che forse è il nodo più grosso di queste elezioni. Mobilitare la minoranza nera, perché quella è essenziale per vincere, e in terzo luogo, dare un volto rassicurante a quella parte dell’opinione pubblica che magari quattro anni fa ha votato per Trump pensando che fosse un elemento anti casta, ma che poi si è rivelato in realtà tutt’altra cosa. Io penso che questi siano i problemi oggi più importanti dei Democratici, e poi c’è il fatto che, a due mesi dalle elezioni, le dichiarazioni di Trump su un colpo di mano sono l’interrogativo più grosso e inquietante che pesa su queste elezioni.

Come spiegare a un pubblico italiano questo scontro sul voto postale?
Innanzitutto va spiegato col fatto che Trump ha detto a più riprese, e non era una boutade, se una volta fatto lo scrutinio di quelli che vanno a votare le elezioni sono incerte e poi ci sarà il voto per posta, che si scrutina dopo, che assegna la vittoria dei Democratici, io quell’esito non lo riconoscerò….
Un’affermazione pesantissima.

Da cosa nasce, professor Teodori?
Dal fatto che questa volta il voto per posta, come rimarcano tutti i sondaggi, è una percentuale molto alta, per il Covid e altro ancora.
Tutti i sondaggi danno il voto per posta largamente a favore dei Democratici, e ci sono tutti i segni espliciti sul fatto che Trump intende manipolare il voto per posta, tanto è vero che ha cambiato il Post master, il Ministro delle Poste che è quello che deve gestire tutta quanta la spedizione delle schede, la raccolta di esse, la conservazione e infine lo scrutinio nel momento successivo al voto diretto. Siccome negli Stati Uniti il voto per posta è una pratica normale, abbastanza larga e stavolta è stimato che sarà molto più larga proprio per evitare gli assembramenti, e siccome c’è questa minaccia di Trump, può davvero diventare la questione risolutiva.

Come è possibile che in quella che rimane, almeno sul piano militare, la super potenza mondiale, i temi di politica estera sembrano essere così in secondo piano in queste presidenziali?
I temi di politica estera sono stati sempre in secondo piano nella politica americana presidenziale, ad eccezione di quando il mondo era diviso in modo bipolare, perché allora la questione della difesa degli Stati Uniti d’America, leader del mondo libero, era qualcosa che mobilitava tutti quanti gli americani, i quali poi avevano già combattuto la Seconda guerra mondiale e stavano lì a presidiare tutto il mondo nei primi vent’anni del secondo dopoguerra.
Poi c’è stata una seconda fase, in cui i problemi esteri sono stati importanti, ed è stata la fase del terrorismo islamico, perché quella è stata la fase, con l’11 Settembre 2001, in cui per la prima volta gli americani hanno toccato sul proprio corpo cosa è una invasione dall’esterno con gli attacchi alle Torre Gemelli e al Pentagono.
Oggi non ci sono cose così drammatiche da influire sulle elezioni, se non il problema della Cina, piuttosto da un punto di vista di egemonia economica, digitale-informatica e commerciale, più che militare. Ed è su questo che Trump ha puntato tutte le sue risorse, incentrandole su due punti: primo, ha detto che il virus è un virus cinese, quindi assimilando il nemico del momento, il Covid-19, al nemico esterno cinese. In secondo luogo, dicendo in sostanza, guardate che se Biden vince noi saremo sopraffatti dalla Cina.
Certamente la Cina è oggi l’antagonista degli Stati Uniti, però una cosa è fare dell’antagonista lo spettro elettorale, altra cosa è avere una politica per affrontarla e confrontarsi dal punto vista politico, economico, militare.
Trump ha invece puntato a farne uno spettro, e d’altra parte tutta la sua politica è sempre quella di evocare degli spettri con i quali incutere paura a un certo tipo di elettorato.

Ha fatto riferimento più volte al tema delle regole, della rappresentanza. In America un dibattito come quello che si sta sviluppando in Italia sul tema del taglio dei parlamentari sottoposto a referendum, come verrebbe visto?
Sarebbe considerata una cosa di alieni. Ma questi che idea c’hanno della democrazia rappresentativa?! In un Paese, come gli Usa, in cui le regole della rappresentatività, alla Camera, al Senato, negli Stati e nei congressi degli Stati etc., sono immutate da oltre due secoli.
Nessuno ha mai messo in discussione che ogni Stato avesse due senatori, nessuno ha mai messo in discussione che ogni tanti abitanti ci fosse un rappresentante nella Camera bassa. Nessuno l’ha mai messo in discussione in due secoli.
Pensare che arriva un pirla qualsiasi che dice tagliamo le poltrone, identificando, e questa è la cosa gravissima italiana avallata anche da esimi costituzionalisti che stanno dietro alle fregnacce di Di Maio. E francamente mi meraviglio del Partito Democratico e di altri partiti e personaggi che gli vanno dietro. Vedo in questo momento che per fortuna lo schieramento del “No” comincia un po’ ad andare avanti, ma tutto il resto è pura demagogia.

In Italia è andata avanti, anche a sinistra, la leggenda che in America i partiti, Democratico e Repubblicano, erano partiti liquidi e che bene avremmo fatto noi a imitarli.
Non c’entra proprio niente l’aggettivo “liquido” con il sistema rappresentativo americano.
È una idea che non ha alcun senso, e io non l’ho neppure mai incontrata nella scienza politica americana, che pure è la madre di tutte le scienze politiche del mondo.
Il sistema rappresentativo americano è vero che è rimasto fisso da molto tempo, ma è altrettanto vero che ha cercato sempre più di democratizzarsi. L’ultimo grande passaggio su cui varrebbe la pena di riflettere anche a casa nostra, non ha niente a che fare con la “liquidità” ma ha a che fare, e tanto, con il rapporto tra eletto ed elettore, che è altra cosa.
Riguarda il fatto che i candidati, al Congresso, ai governatorati, alla presidenza, ormai non sono più scelti dai congressi di partiti in cui votano i membri di partiti, ma sono scelti con le primarie.
E alle primarie americane votano coloro che sono registrati con l’etichetta democratica o quella repubblicana. La registrazione con una etichetta ti consente di partecipare alle elezioni primarie.
E questo è stato un grosso salto, in termini di democraticità, di come la rappresentanza viene scelta.
Perché in un sistema che si fonda tutto sui collegi uninominali, al Senato, alla Camera, ai governatorati, Presidenza etc., uno contro uno in rappresentanza dei due grandi partiti, la scelta del candidato è già metà elezione, perché hai fatto la metà del percorso.
L’aver affidato la prima parte del percorso di rappresentanza, a qualsiasi carica elettiva, nella scelta dei rappresentanti non già ai boss di partito, come una volta, ai membri di partito che si riunivano nei congressi di città, di contea, di Stato, ma direttamente agli elettori, ha fatto una differenza enorme. E la vittoria di Obama e dello stesso Trump come candidati presidenziali, è dovuta esclusivamente a questo passaggio.
Per intenderci: a scegliere il candidato alla Presidenza, sia esso Dem o Repubblicano, invece di essere diecimila persone del partito, questa volta sono state venti milioni quelle che hanno votato.
È un salto molto grosso in termini di democraticità del sistema di scelta dei rappresentanti.
E qui da noi stanno puntando sul taglio delle poltrone, roba da alieni, purtroppo alieni italiani.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.