Al Stephen K. Tamura West Justice Center di Westminster, a Costa Mesa, in California, ha preso avvio un processo che sta già facendo discutere l’opinione pubblica americana e non solo. Sul banco degli imputati c’è Laura Lee Yourex, 62 anni, residente nello Stato dorato, accusata di un gesto tanto bizzarro quanto grave: avrebbe registrato al voto la propria cagnolina, Maya Jean Yourex, riuscendo persino a far contare il suo voto in occasione del referendum per il recall del governatore Gavin Newsom nel 2021.

Secondo l’Ufficio del Procuratore della Contea di Orange, la donna non si sarebbe fermata lì: avrebbe tentato nuovamente di far partecipare il suo animale domestico alle primarie del 2022. In quel caso, però, la scheda spedita a nome del cane venne individuata e respinta. La vicenda rimase sotto traccia fino all’ottobre 2024, quando fu la stessa Yourex ad autodenunciarsi al Registrar of Voters locale, ammettendo di aver inviato il voto per conto della cagnolina. Da quel momento si è aperto un procedimento giudiziario che, per la sua natura grottesca, è stato definito “senza precedenti” nella storia della giustizia californiana. Le accuse formalizzate sono pesanti: cinque capi d’imputazione, che spaziano dalla falsa testimonianza (perjury), alla falsificazione e presentazione di documenti ufficiali, fino al più grave reato di voto illegale e registrazione di persona inesistente. In caso di condanna, la donna rischia fino a sei anni di carcere in un penitenziario statale.

Dietro l’apparente comicità dell’episodio – un cane che “partecipa” a un’elezione – si nasconde una questione estremamente seria. Negli Stati Uniti, il diritto di voto è considerato il pilastro della democrazia. Qualsiasi tentativo di manipolarne il funzionamento, anche attraverso gesti che possono sembrare goliardici, mina la fiducia collettiva nel sistema elettorale. Ed è proprio questa fiducia che le autorità californiane sembrano voler difendere con fermezza, scegliendo di non archiviare il caso come semplice bravata. L’episodio si inserisce inoltre in un contesto politico e sociale molto teso. Negli ultimi anni il dibattito sul voto per corrispondenza, ampliato durante la pandemia, è stato al centro di accese polemiche, soprattutto dopo le contestazioni dei risultati delle presidenziali del 2020. In questo clima, anche un caso isolato come quello di Maya Jean rischia di alimentare la narrativa complottista di chi mette in dubbio la regolarità del sistema elettorale.

La vicenda solleva infine interrogativi sul rapporto tra cittadini e istituzioni. Perché Yourex ha deciso di autodenunciarsi, a distanza di oltre un anno dai fatti? Si è trattato di un senso di colpa, o di un gesto provocatorio? E soprattutto: qual è il confine tra un atto di disobbedienza civile e un reato che mette a repentaglio la credibilità delle istituzioni democratiche? Nei prossimi giorni il processo farà certamente parlare di sé. Al di là della singolarità della storia, l’esito giudiziario sarà osservato con attenzione, poiché potrà costituire un precedente importante nel definire i limiti della tolleranza rispetto a tentativi di frode elettorale, anche quando appaiono caricaturali. In un’epoca in cui la fiducia nel voto è costantemente sotto pressione, persino un episodio come quello di “Maya Jean, l’elettore a quattro zampe” può trasformarsi in un caso emblematico del delicato equilibrio tra diritti civili, responsabilità individuale e salvaguardia della democrazia.