Letture
Un uomo fatto a pezzi dalle toghe, una donna che (forse) lo ama: con Ingrata, De Simone intreccia cronaca e finzione attorno alla figura di Del Turco
Una storia vera insieme a una inventata all’ombra delle grandi montagne d’Abruzzo
Tonino Giuliante, il personaggio principale di “Ingrata” di Annalisa De Simone (esce il 10 ottobre per Nutrimenti), è in realtà Ottaviano Del Turco, lo scomparso leader sindacale, socialista, presidente della Regione Abruzzo, che come si ricorderà fu vittima di una orribile vicenda giudiziaria: una prima condanna, il carcere, l’infamia stampata sui giornali e sulla bocca della mitica “gente”. Ma Del Turco non aveva commesso le ruberie che una frettolosa magistratura gli aveva addebitato, e come al solito il danno non fu riparabile: Franz Kafka aveva detto tutto un secolo fa. In questo romanzo, dunque, la realtà, persino in termini di cronaca, è vivissima, pur restando la fantasia di De Simone il motore dell’opera.
La scrittrice abruzzese pone sempre al centro dei suoi romanzi un io narrante che in qualche modo è lei stessa – fermo restando che discernere l’autore dal protagonista è semplicemente impossibile o arbitrario – o comunque è sempre lo stesso personaggio inquieto e fragile, nel suo misterioso macerarsi l’anima che trasmigra di romanzo in romanzo. Come nei libri precedenti di De Simone, svetta una sorta di solitudine nell’amore, cioè una ricerca di “vita” in un labirinto in cui la protagonista cammina inesorabilmente da sola. C’è da dire che l’incrocio tra finzione e realtà funziona anche grazie alla forza del personaggio di Giuliante e alla grande mitizzazione dell’Abruzzo, la terra di Letizia, di Giuliante e del padre di lei, figura che incombe e si confonde con quella dell’uomo politico socialista. Quella terra che fu di Ottaviano Del Turco (la sua Collelongo qui rapidamente descritta) deve esercitare sui suoi nativi una forza misteriosa, invincibile, particolare nella sua asprezza suscitando quell’«orgoglio che mi riviene in gola quando meno me l’aspetto», come disse un grande abruzzese, Ennio Flaiano, citato nel romanzo.
Dunque, la vicenda. Per Letizia Mastracci l’ancora giovane Giuliante, soprannominato il “Principe” addirittura, è un socialista travolto dalla fine catastrofica del Psi che sulle prime riesce a rifondare, seppure con scarso successo, diventa deputato, ministro: tutta storia vera. Uomo fascinoso, intelligente: e lo era davvero, Del Turco, pur in una durezza tutta, appunto, abruzzese. A Giuliante la giovane Letizia trova il modo di rivolgersi per chiedere di essere chiamata a lavorare in Parlamento, e ci riesce, farà una bella carriera anche quando a governare saranno “gli altri”: ed è in quel momento che l’ingrata lo tradirà, non prendendo le sue difese quando lui verrà investito dalla bufera giudiziaria. A lato, c’è un marito non troppo significativo da cui divorzierà forse pentendosene, e una vita che scorre nel privilegio di quella che il grillismo chiamò la “casta”, categoria odiosa ma non priva di ancoraggi alla realtà, fino alla catastrofe di Tonino, condannato e poi ammalatosi di Alzheimer, mentre il tempo è passato – ma con quale risultato? – anche per lei, Letizia, l’ingrata.
Ma tutto il romanzo gira attorno alla domanda se Letizia sia stata, e sia tuttora, innamorata di Tonino Giuliante. La risposta non può essere secca come non può esserlo la medesima domanda se riferita al padre: Letizia amava il padre nel senso dell’amore non puramente filiale? Giuliante è l’amante mancato o il “padre” di Letizia? In queste pagine nervose, tra le righe dure di “Ingrata”, fluisce una storia vera insieme a una storia inventata all’ombra delle grandi montagne d’Abruzzo che vegliano su queste piccole esistenze.
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