I tentacoli russi
Ungheria, Serbia e il nuovo oleodotto: Orbán apre la Nato al petrolio di Putin e all’Armata Rossa
L’oleodotto che Ungheria e Serbia intendono realizzare per il trasporto di petrolio russo è un’infrastruttura dalle dimensioni irrisorie, ma con un potenziale impatto sia nelle relazioni interne all’Unione Europea, sia nello sviluppo della guerra russo-ucraina. L’impianto dovrebbe essere lungo 300 chilometri, collegare la città ungherese di Algyő con quella serba di Novi Sad e avere una capacità massima di 5 milioni di tonnellate di greggio all’anno. Poca roba. Tuttavia, già il fatto che la notizia circoli a pochi giorni dall’adozione del 18esimo pacchetto di sanzioni contro Mosca, da parte dell’Ue, suggerisce quanto gli interessi di Putin siano tentacolari e riescano ad aggirare il cordon sanitaire di Bruxelles.
La mozione di censura e la spintarella di Mosca
Una strategia, questa, che includerebbe anche la mozione di censura presentata, ma bocciata, la scorsa settimana dall’europarlamentare rumeno Piperea. Mossa su cui pesa il sospetto di una spintarella di Mosca. Con l’oleodotto serbo-magiaro, Viktor Orbàn si conferma essere l’uomo del Cremlino oltre cortina. «Mira a fare l’“országgyarapító”, che vuol dire all’incirca “riparatore del Paese”», osserva Federigo Argentieri, Direttore del Guarini Institute (John Cabot University, Roma). Lo stesso appellativo veniva dato a Miklós Horthy, l’ammiraglio collaborazionista di Hitler a Budapest ai tempi della seconda guerra mondiale. «Nel 1938-40, Horthy recuperò molti dei territori perduti e ceduti all’Ucraina nel 1918-20. L’attuale governo ungherese sta tendando di accaparrarsi parte della Rutenia subcarpatica controllata da Kyiv». Un’operazione a due dimensioni. Da una parte, tenta di sabotare la resistenza ucraina, con attività di intelligence intercettate puntualmente dal controspionaggio di Kiyv. Dall’altra, rafforza quello che Argentieri definisce il «network balcanico putiniano, costituito sì dalla Serbia, ma anche dalla Republika Srpska». Questo secondo punto del piano si biforca a sua volta in attività economiche e altre di natura poco trasparente.
L’economia russa ne risente
Per quanto riguarda l’economia, l’80% delle forniture energetiche dell’Ungheria è di provenienza russa e arriva attraverso il Družba e il Turk Stream. Il primo è l’“oleodotto dell’amicizia”, ancora di epoca sovietica che fornisce di greggio i Paesi dell’ex Patto di Varsavia. Con lo scoppio della guerra in Ucraina, Budapest ha ottenuto una deroga da Bruxelles per continuare a tenerlo aperto. Oggetto di scambio il veto che Orbàn minaccia di usare in Consiglio Ue. Svincolato dall’Ue è invece il TurkStream: gasdotto voluto da Erdogan che taglia di netto il Mar Nero, arriva alle porte di Istanbul e poi da lì penetra nei Balcani con il nome di Balkan Stream. Questo flusso di idrocarburi che l’Europa può bloccare solo in parte non porta ovviamente le sanzioni a somma zero. L’economia russa risente eccome del quasi embargo europeo. Tuttavia, l’azione di Budapest è un virus, che, da un lato, porta voti a Obàn in vista delle elezioni del prossimo anno, dall’altro, ha tutte le possibilità di espandersi più a Occidente. In Slovacchia, nella Repubblica ceca, ma anche in Germania e Francia, dove sono stati dimostrati i finanziamenti russi alla destra radicale.
Gli intrighi di Orbàn
Più torbida è la seconda parte della strategia. Gli intrighi di Orbàn con Serbia e Republika Srpska pare che sfocino in un piano per l’esfiltrazione, su suolo ungherese, del presidente di quest’ultima, Milorad Dodik. Anch’egli amico di Putin, Dodik rischia il mandato di arresto, da parte delle autorità di Sarajevo, perché di fatto avrebbe violato gli accordi di Dayton del 1995, che posero fine alla guerra civile nell’ex Jugoslavia. Il caso avrebbe dei precedenti. Orbán si è sempre speso per proteggere leader populisti e filo russi in fuga, per esempio, dalla Macedonia del Nord, Nikola Gruevski, dalla Polonia, Marcin Romanowski, e perfino dal Brasile, Jair Bolsonaro. Per quest’ultimo però senza poter fare nulla. Secondo la stampa di opposizione a Budapest, il disegno prevede la ripresa delle tensioni tra Serbia e Bosnia. Entrambe sono candidate a entrare in Ue, ma non hanno mai messo in soffitta gli antichi odi etnici che portarono al conflitto.
Soldati russi sul suolo NATO
Ora, è prematuro dire che dietro tutto questo ci sia Putin. Fatto è che gli torna comodo avere un alleato che rema contro all’Europa – nonostante da quest’ultima venga lautamente finanziato – e che soffia sul fuoco affinché i Balcani tornino a essere un epicentro di destabilizzazione sul continente. Del resto un secondo fronte è proprio nei piani di Mosca. «Se Orbàn dovesse vincere le elezioni il prossimo anno – conclude Argentieri – non è da escludere l’apertura degli aeroporti ungheresi ai voli militari da Mosca. Quelli civili sono operativi già oggi». Così da avere i soldati russi sul suolo Nato.
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