Prima ci sono state le dichiarazioni di Mark Milley, capo di stato maggiore americano. Molto pessimista sulle possibilità che Kiev possa vincere la guerra. Poi le notizie sulla condizione tragica della popolazione ucraina, con decine di milioni di persone senz’acqua e senza energia elettrica. Poi Washington ha fatto filtrare la notizia che l’America sta pensando di non mandare più armi a Zelensky. Poi le accuse all’esercito ucraino di avere fucilato dei prigionieri russi. E prima di tutto questo c’era stato l’incidente clamoroso del missile non-russo – anzi, ucraino – lanciato su un piccolo borgo polacco.

È l’incidente che ha scatenato l’ira di Biden che da tempo covava e – dopo il risultato elettorale di mid-term negli Usa – era diventato abbastanza palese. Ora è lo stesso governo ucraino a dire che si possono avviare trattative di pace anche senza che i territori occupati dai russi siano liberati. E contemporaneamente, alle proposte di mediazione di Erdogan si sono aggiunte quelle più autorevoli del Vaticano. E si è sommata la spinta del leader cinese Xi, che ha fatto capire che l’interesse della Cina è che questa guerra finisca al più presto.

Naturalmente nessuno sa con precisione se le trattative, segrete, siano state già avviate, e in che forma, e da chi, e con quali prospettive. Però è molto probabile che anche a Bali, in occasione del G20, i pacieri si siano mossi sia sul fianco russo sia su quello americano.

A questo punto è difficile sfuggire alla domanda delle domande: era necessario aspettare la morte di cento o forse duecentomila persone per dare spazio all’iniziativa diplomatica? Chi è che ha preferito che la guerra facesse il suo corso, pur sapendo dall’inizio come si sarebbe conclusa? Perché l’Europa non si è fatta sentire? E quanto ha pesato nell’andamento della guerra l’obbligo morale di difendere l’Ucraina e quanto invece gli interessi sul gas?

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.