Il 30 aprile 1993 è una data da non dimenticare. Non soltanto per i socialisti, ma per la democrazia italiana, che d’allora in poi non fu più quella costruita dai Costituenti, dopo la caduta del fascismo. Non è un paradosso, ma gli eventi che si susseguirono da quel famigerato giorno, resta nella memoria in modo incancellabile, perché da lì fu spazzata la Prima repubblica e la sua classe dirigente e chi si salvò, sono soltanto delle mosche bianche.

Fu consumata una aggressione squadrista di matrice abbastanza eterodossa di fascisti ed ex comunisti, con il lancio di monetine al leader del Psi e già presidente del Consiglio, Bettino Craxi. Un episodio mai verificatosi nella storia d’Italia, che è passato in sordina. Diciamo trascurato dai più, dai mass media scritti e parlati, perché compromessi, se non fosse stato messo alla luce a tutto tondo dal libro di Filippo Facci: 30 Aprile 1993 Bettino Craxi L’ultimo giorno della Repubblica e la fine della politica. Infinitamente grati all’autore per aver ricostruito momento per momento quel tragico episodio che, di certo, non fa onore e prestigio alla Repubblica italiana.

Naturalmente non fu una “folla”, sull’onda dello spontaneismo, quella che si trovò di fronte all’Hotel Raphael per “linciare” Bettino Craxi. Fu tutto organizzato dalla a alla z dal Pds – ex Partito Comunista Italiano – guidato da Achille Occhetto. Non a caso, in quel tardo pomeriggio, questi tenne un comizio a Piazza Navona a due passi dall’albergo in cui il leader socialista alloggiava e dal Movimento Sociale Italiano, con a capo Gianfranco Fini, di cui non diciamo nulla se non che è fuori dalla politica per ragioni giudiziarie.

Gli avvenimenti di quei giorni furono tali che i due partiti in questione presero come “capo espiatorio” il leader socialista, sottoposto a un accanimento giudiziario da parte del pool Mani pulite, per finanziamento illegale dei partiti, poi trasformato in corso d’opera in corruzione e concussione. Non bastava il finanziamento illecito, bisogna caricare l’indagato di colpe maggiori, per rendere più credibili le inchieste e per simboleggiarlo come il “mostro” della politica italiana. Che si aggiunga a ciò, che tutta la politica italiana veniva finanziata illegalmente e non parliamo del Partito Comunista italiano finanziato dall’Urss: straniero e nemico. Salvato dalla legge approvata nel 1989 sui finanziamenti irregolari. Secondo Valerio Riva il Pci ha ricevuto dai 850 ai 1100 milioni di lire da Mosca.

Prendendo a pretesto le inchieste su Craxi e i socialisti e i partiti del pentapartito, Pds e Msi si mossero, fiancheggiati dalla stampa in mano ad editori come Agnelli (i vertici Fiat in testa con Cesare Romiti furono coinvolti nelle inchieste ) e De Benedetti (di seguito arrestato e miracolosamente rilasciato)e supportati dalla loro stampa di partito (Pds) e quella che si definiva “indipendente” (gruppo Fininvest di Silvio Berlusconi faceva il “giustizialista”fino a quando il Cav non scese in politica con Forza Italia e provò anche lui l”emozione” dell’avviso di garanzia), per capovolgere il quadro politico democratico a loro favore.

Insomma, il circo mediatico giudiziario si mosse come una flotta con la nave ammiraglia, il Corriere della Sera al fianco gli incrociatori: Repubblica, l’Unità e La Stampa. Fuori di dubbio che il “luogo a procedere” agli ex comunisti e ai missini fu dato dalle inchieste di Mani pulite che, alla distanza, sono uscite fuori alcune verità che non hanno nulla a che fare con la giurisdizione, come il trucco che il gip, Italo Ghitti, tutte le inchieste di Mani pulite l’aveva lui e lui solo. Non è tutto. Il vice procuratore D’Ambrosio non ebbe il fair play di non presentarsi nelle liste dei Ds, come prima di lui, Di Pietro, candidato da D’Alema nel collegio del Mugello come senatore. C’è dell’altro. Il pm Gherardo Colombo aveva proposto che i politici che avessero confessato i loro reati al Pool dovessero lasciare la politica: nel caso che fossero parlamentari si sarebbero dovuti dimettere per poterla farla franca.

La piega che prese tutta la vicenda di Tangentopoli era più da Stato etico che da Stato di diritto. Mani pulite faceva le sue “fortune” sull’utilizzo al massimo, a gogo, della custodia cautelare, un modo come un altro di tenere in carcere l’indagato per farlo parlare. Ovvero accusare un politico, innanzitutto, o un imprenditore. Era il metodo Di Pietro omaggiato e ossequiato e persino definito – copyright di Giorgio Bocca – l’ “eroe dei nostri tempi”.

Craxi si trovò, in quel pomeriggio del 30 aprile di quell’annus horribilis, in un certo senso in quel clima assurdo già vissuto – ironia della vita politica italiana – all’inizio dell’avvento del fascismo quando le squadracce assaltavano e bruciavano la redazione dell’Avanti! e non solo. Basti citare l’affaire Matteotti e i casi dei fratelli Rosselli e di Gobetti per raccontare di quel clima criminogeno fascista. Non vogliamo fare paragoni ma il 30 aprile i virus fasciocomunisti c’erano.

Sembra assurdo, ma non siamo troppo lontani da quegli avvenimenti allora mussoliniani e poi “dipietreschi” – a sua insaputa- del popolo che scendeva a protestare davanti alla Procura di Milano o inviava i fax. Dopo un decennio, il Procuratore capo di Mani Pulite, Francesco Saverio Borrelli confessò, con onestà intellettuale, che il Pool aveva distrutto la classe dirigente della Prima repubblica, per trovarsi di fronte a una inesistente, per non dire peggiore.

Intanto continua sui socialisti e su Craxi soprattutto la damnatio memoriae mentre in Italia tutto passa in cavalleria e un avviso di garanzia è diventato quasi una inezia, una pinzillacchera, per dirla con Totò. Mentre prima era uno spergiuro e una infamia, una sorta di lettera scarlatta per chi lo avesse ricevuto. I tempi cambiano, ma non migliorano.

I vinti della storia sono stati e sono inquilini di Palazzo Chigi, avendo usato la via giudiziaria al potere. Per dirla tutta, Meloni non c’entra nulla con le vicende passate, ma i suoi antichi amici di partito sì, perché le fecero da battistrada.

Togliatti, ministro di Grazia e giudtizia, per pacificare l’Italia usò la legge sulla amnistia, con i suoi pro e suoi contro, ma fu un passo decisivo per pacificare il Paese e non per farlo sprofondare ancora di più nella guerra civile. Non si tratta di questo, la mia è solo una reminiscenza storica, ma almeno a Craxi vogliate chiedere scusa. E dedicargli una targa proprio laddove subì quell’aggressione squadrista che spazzò via un’intera storia politica.