Lo studio psicologico
Anche gli antisemiti possono essere curati
La nuova neuroscienza analizza la reazione della mente quando si attivano le aree cerebrali di disgusto. L’amigdala, struttura fondamentale per le emozioni, si può tenere sotto controllo grazie a terapie specifiche
Il dilagante delirio antisemita (sarebbe ora di dire antiebraico, dal momento che anche i palestinesi e gli arabi sono semiti e con loro se la prende solo Matteo Salvini) manda in malora un fondamentale principio della filosofia hegeliana: “Ciò che è reale è anche razionale”. Per quanto mi riguarda, non esiste alcun motivo “razionale” che giustifichi l’estensione “reale” dell’ostilità nei confronti del governo israeliano in carica non solo a tutti i cittadini di quel Paese e a quelli che protestano quotidianamente contro Benjamin Netanyahu, ma anche agli ebrei della diaspora, liberi cittadini dei loro Paesi, magari lontani da Israele migliaia di chilometri.
Nell’assistere a questo scempio dell’etica e del diritto, ho ricordato il discorso di Giovanni Paolo II quando il 13 marzo del 1986, primo Pontefice della storia, incontrò la comunità ebraica nella Sinagoga di Roma. Papa Wojtyla liquidò in poche frasi ogni possibile residuo della maledizione per il “deicidio”. “Agli ebrei, come popolo, non può essere imputata – affermò – alcuna colpa atavica o collettiva, per ciò che è stato fatto nella passione di Gesù”. E aggiunse: “Non a quelli venuti dopo, non a quelli di adesso” ma neppure “indistintamente agli ebrei di quel tempo”. Un principio che sembra dimenticato, oggi, persino dalle autorità ecclesiastiche.
Ho trovato miserabile la caccia ai militari israeliani ospiti (fantasma?) con le loro famiglie in qualche resort italiano. Un cittadino di uno Stato democratico che combatte in un esercito regolare non può essere considerato – a prescindere dalle sue azioni – un criminale di guerra. Anche Benedetto XVI da adolescente fu costretto a prestare servizio nella Wehrmacht, se ben ricordo in artiglieria. Credo però che siano insufficienti le spiegazioni correnti riguardanti il latente antiebraismo che cova nell’animo umano e che riemerge periodicamente in forme criminali. Al di là degli aspetti di carattere storico e culturale, mi sono convinto che vanno cercate spiegazioni più scientifiche. Dapprima ho pensato che l’antiebraismo fosse prodotto da un virus che l’umanità si porta appresso in condizioni di latenza e che nel tempo si caratterizza per focolai circoscritti e locali, mentre in alcune fasi storiche (come tra le due guerre mondiali del XX secolo) è esploso in una devastante pandemia.
Cosa succede nel cervello
Degli amici freschi di studi di psicologia mi hanno aperto dei nuovi orizzonti in un importante campo di studi in evoluzione, denominato “psicologia sociale cognitiva”. Con strumenti diagnostici, tipo risonanze e test cognitivi, la nuova neuroscienza studia cosa succede nel cervello quando è sollecitato da domande e impulsi che riguardano vari argomenti, problemi, parole, affermazioni. I pensieri e le opinioni non dipenderebbero solo da fattori storici e culturali, ma dalla forma organica, dalla struttura del cervello. Insomma, nelle idee ci sarebbe una componente genetica.
Gli approfondimenti
Tra gli studiosi in materia va annoverata Leor Zmigrod, una giovane neuroscienziata che ha pubblicato per Rizzoli un libro dal titolo “Il cervello ideologico”. Dal riscontro empirico emerge che alcuni cervelli sono – per così dire – rigidi e altri no. La rigidità assume i connotati di una visione del mondo, di un’ideologia che condiziona le opinioni, le convinzioni, i valori e il modo di posizionarsi rispetto agli eventi della vita. Degli approfondimenti si possono leggere sui libri di uno studioso italiano di nome Luigi Castelli, in particolare autore insieme a Luciano Arcuri del saggio “La cognizione sociale. Strutture e processi di rappresentazione (Laterza)”.
L’amigdala
È stato dimostrato, ad esempio, che a un suprematista bianco – quando sente parole come “nero, immigrato, straniero” – si attivano aree cerebrali corrispondenti al disgusto provato in presenza di escrementi, topi di fogna, e così via. Questa area del cervello deputata a “sentire” il disgusto è la medesima della paura e della rabbia, e viene definita “amigdala”: una struttura cerebrale a forma di mandorla situata nei lobi temporali, fondamentale per le emozioni come la paura, la rabbia e il piacere, e per la memoria emotiva. Le sue funzioni principali includono la percezione delle minacce, l’innesco della risposta “combatti o fuggi”, e l’attribuzione di significato emotivo a stimoli interni ed esterni. L’amigdala può diventare iperattiva in seguito a traumi, contribuendo ai sintomi del disturbo post-traumatico da stress, ma può anche essere “addestrata” attraverso terapie specifiche. Come i suprematisti bianchi, anche gli antisemiti sono dei malati da curare in quanto tali. Il loro cervello va in tilt quando sentono le parole “ebreo”, “giudeo”, “sionismo” e quant’altro.
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