L'intervista
Anoressia allarme sanitario, l’appello del luminare: “Meloni si fermi”
Intervista al Prof.Giuseppe Merra, gastroenterologo dei disturbi nutrizionali a Roma Tor Vergata e Gemelli. Il suo appello al Governo: “Siamo allarmati, servono più fondi”
Anoressia, bulimia, bigoressia e binge eating: ne soffrono oltre 3 milioni e 600 mila pazienti, spesso adolescenti. Eppure il governo Meloni, senza troppi riguardi, ha cancellato il fondo da 25 milioni di euro che Draghi aveva stanziato per aiutare le Regioni a curare i disturbi alimentari e ad aggiornare i Lea. Un passo indietro che costringerà tanti ambulatori presenti sul territorio a chiudere e ad interrompere l’assistenza dei pazienti presi in carico. Nel 2018 le strutture specializzate in Italia erano 164, oggi sono 126. E mentre i centri diminuiscono, i casi purtroppo aumentano. Ne abbiamo parlato con il Prof. Giuseppe Merra, medico-chirurgo specialista in medicina interna, professore associato presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli studi di Roma Tor Vergata e titolare di Gastroenterologia presso l’ospedale Gemelli dell’università cattolica di Roma.
Quali sono le dimensioni dei disordini nutrionali?
«L’età media dell’insorgenza è 17 anni, ma non è raro trovare pazienti di dieci anni. Difficile quantificarli, se non tutti ricorrono a cure non si può fare un inquadramento corretto. Siamo tra i 3,6 e i 4 milioni di pazienti in Italia».
È moltissimo. Una cifra incredibile.
«La diffusione sta crescendo sia nella fase 12-17 anni, che comprende il 20% dei casi, sia tra i pazienti maschi, che prima ne soffrivano meno. Il fenomeno si sta estendendo e rappresenta un allarme socio-sanitario. Nel 2022 lo screening ha portato alla luce un milione e quattrocento mila nuovi casi. Il 48% di coloro che soffrivano di disturbi nutrizionali hanno avuto la necessità di un ricovero, durante il Covid».
Quel periodo ha visto peggiorare le cose.
«Si sono sommate patologie diverse e si è esacerbato il quadro psicologico di molti. Hanno sofferto molto i bambini e gli adolescenti, con numeri impressionanti di insorgenze. Si aggiunga, e vale per quasi tutti, che si è fatto meno sport e si è mangiato in casa, peggio di come si mangiava avendo una vita attiva».
Dove nascono i disturbi della nutrizione?
«Nella testa, ma anche nell’intestino. Che è un autentico secondo cervello».
In che senso?
«Sappiamo che nel nostro intestino c’è un insieme di batteri, virus e funghi che costituiscono il microbiota intestinale: un organo nell’organo, deputato alle funzioni di difesa e a quelle metaboliche. Conosciamo l’esistenza del brain captaxys, sappiamo che c’è una corrispondenza biunivoca tra mente e intestino».
Quindi l’anoressia, ad esempio, si potrebbe curare a partire dal microbiota?
«Sì. Si stanno facendo studi in questo momento su questo particolare campo. Le pazienti anoressiche si differenziano per la composizione del loro microbiota. C’è uno studio dei miei colleghi di Copenaghen, pubblicato su Nature Reviews Microbiology che dimostra come aver impiantato il microbiota di una ragazza anoressica su una cavia abbia portato anche il roditore a rifiutare il cibo. Significa che squilibri e modifiche a livello intestinale possono influenzare direttamente l’anoressia nervosa».
Come possiamo intervenire?
«Se c’è una correlazione con il microbiota intestinale, è verosimile che la modifica di quest’ultimo possa contribuire a intervenire sull’anoressia nervosa. Stiamo sequenziando la caratterizzazione del micobiota intestinale per sequenziare i 3 milioni di geni di cui il nostro microbiota è costituito. Le pazienti anoressiche sono ‘parenti’ microbiotiche dell’akkermansia muciniphila, un batterio che induce un senso di sazietà. Se riusciamo a modificare il loro microbiota predisporremo il soggetto a guarire velocemente. Unendo sempre una terapia comportamentale che aiuti a individuare le vulnerabilità psicologiche e ad intervenire».
Il mondo della sanità è preoccupato?
«Direi allarmato. Se dovessimo ricoverare tutti quelli che ne avrebbero bisogno, e parliamo di ricoveri da 1 a 3 mesi, non avremmo abbastanza posti letto nella sanità pubblica italiana».
Ma com’è possibile che, davanti a questo quadro, il governo abbia tagliato i fondi dedicati ai disturbi alimentari?
«È un paradosso. Siamo davanti a una malattia culturalmente correlata che cresce esponenzialmente. Se chiede al clinico, io davvero non capisco perché si possa decidere di non investire. Deriva da una cattiva conoscenza: la politica non affronta in maniera scientifica la profondità dei problemi. Tra l’altro, se si interviene presto si risparmia molto alla spesa sanitaria».
Il suo appello?
«Al governo? Tornate indietro, ripensateci. Non si può tagliare una spesa sanitaria così centrale, vitale, strategica. Guardate che è in gioco il futuro del nostro Paese, un numero così alto di pazienti giovani non l’avevo mai osservato nella storia della medicina del mondo occidentale».
© Riproduzione riservata







