Dei disturbi alimentari si parla ancora troppo poco. Quando se ne discute, spesso si è imbrigliati tra schemi di pregiudizio e falsi miti. In pochi hanno consapevolezza che anoressia, bulimia e BED (Binge Eating Disorder, ovvero disturbo da alimentazione incontrollata) sono malattie psichiatriche che richiedono cure mediche interdisciplinari e un servizio pubblico attrezzato. Eppure, i casi rilevati dal sistema sanitario sono decuplicati rispetto al 2000. Nel nostro Paese si stimano in 3 milioni le persone in trattamento per queste patologie con un incremento dei nuovi casi impennato durante la pandemia Covid. Nel 2022 sono circa 3mila i decessi legati ai disturbi dell’alimentazione.

Disturbi alimentari, tra i giovani è la seconda causa di mortalità

La lettura dei numeri ci restituisce infine una fotografia drammatica: in età giovanile, i disturbi alimentari sono la seconda causa di mortalità, dopo gli incidenti stradali. Nonostante questo quadro, in Italia il sistema sanitario pubblico offre un servizio a macchia di leopardo: vi sono eccellenze ma anche territori completamente scoperti. Come sempre la soluzione è spostarsi, per chi può. Nella speranza di trovare posti e assistenza in una rete evidentemente sottodimensionata rispetto ad un bisogno di cura crescente. Secondo l’ultimo censimento dell’Istituto superiore di sanità, al 28 febbraio 2023 nel Paese ci sono 126 strutture, di cui 112 pubbliche e 14 appartenenti al settore del privato accreditato. Al Nord si conta la metà dei centri totali, ben 63. Solo il 48% dei centri ha dichiarato di prendere in carico i minori fino a 14 anni. La metà delle Regioni non ha dunque una rete di assistenza completa, che comprenda ambulatori specializzati servizi semiresidenziali e residenziali h24 e infine servizi ospedalieri.

In un panorama deficitario non possono essere ignorate alcune strutture di eccellenza come, ad esempio, la Casa delle Farfalle di Portogruaro (Ve) e In Volo di Parma inseriti in un progetto di assistenza e cura più ampio fornito dalle relative aziende sanitarie territoriali. In questo clima a restare sole sono le famiglie dei ragazzi e delle ragazze, sempre più giovani, colpiti da queste malattie. Genitori, fratelli, nonni, amici che si sentono abbandonati e non hanno punti di riferimento. Affrontare una malattia sconosciuta è sempre difficile, ancor di più se riguarda un bambino o un adolescente. Ti senti disarmato. Avere una porta da bussare, un professionista da consultare rapidamente, una persona con cui confrontarsi perché sta vivendo la tua stessa esperienza diventano ossigeno in un momento in cui ti manca l’aria. È questo che chiedono da anni i familiari dei malati di disturbi alimentari. Per queste famiglie riunirsi in associazione significa far sentire più forte la loro voce, sentirsi meno soli, trovare conforto e informazioni sulle cure. Il Coordinamento Nazionale Disturbi Alimentari e Consult@noi riuniscono 37 associazioni di quasi tutte le Regioni italiane supportando migliaia di famiglie di pazienti affetti da disturbi del comportamento alimentare. Il loro impegno in molti casi ha evitato che la solitudine abbattesse le speranze di vedere il proprio caro guarire dalla malattia. Il loro supporto ha indirizzato persone spaesate verso le strutture più qualificate e i servizi attivati. All’emergere del disturbo ciò di cui si ha bisogno è un team di professionisti diversi che possano farsi prontamente carico del malato per curarlo sia da un punto di vista fisico che mentale. In alcuni casi, questi interventi in emergenza sono dei salvavita. Guardare il proprio figlio che piano piano si lascia morire è una sofferenza che non può essere ignorata neanche dallo Stato.

Disturbi alimentari, governo Meloni non rinnova i fondi

L’istituzione da parte del Governo Draghi nel dicembre 2021 di un Fondo per il contrasto dei disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione per gli anni 2022 e 2023 fu quindi accolto come un segnale di civiltà e attenzione da parte di operatori e famiglie. La scelta del Governo Meloni di non rinnovare lo stanziamento è quindi una porta in faccia a tutte le famiglie che avevano intravisto in quell’aiuto la speranza di vedere nascere nel proprio territorio un nuovo servizio o veder potenziati quelli esistenti. La delusione di fronte a questa scelta sta mobilitando mondi diversi, del terzo settore, della sanità, della politica per spingere il governo a porre rimedio ad un errore che impatterà sul futuro di tanti giovani malati.

La petizione lanciata dalla senatrice Paita di Italia Viva raccoglie lo sdegno di molti, ma rappresenta anche quella politica che non si arrende di fronte alle battaglie giuste e che guarda ai problemi concreti di chi vive una malattia nella quotidianità. Accade invece che periodicamente in Parlamento venga depositata una proposta di legge per istituire un nuovo reato che punisca specificatamente coloro che diffondono on line informazioni, istruzioni e (pessimi) consigli che spingono persone fragili ad entrare nel tunnel dei disturbi dell’alimentazione. Come spesso avviene di fronte a problemi complessi si offrono soluzioni facili, non costose e che affrontano il problema dalla coda. Fino a che non si assumerà una piena e collettiva consapevolezza sulla reale natura di queste patologie e non si agirà concretamente per prevenire, informare, sostenere le famiglie e non si investirà per curare con professionalità, è sbagliato sentirsi con la coscienza a posto presentando una leggina che ben che vada andrà a punire il malato stesso o i suoi genitori nel caso sia minorenne.

Sara Moretto

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