La recente abolizione, nell’ambito della nuova legge di bilancio, del Fondo da 25 milioni di euro per i disturbi del comportamento alimentare è un duro colpo per la salute pubblica. Soprattutto con l’età media di insorgenza di questi disturbi scesa tra i 12 e i 15 anni, e con i casi post-Covid legati a tali patologie raddoppiati. L’aumento impressionante del 96% negli accessi al pronto soccorso, del 56% nei ricoveri e del 24% nei day hospital, secondo uno studio dell’Ospedale Bambino Gesù, mette in luce l’urgenza di sostenere la salvaguardia della salute mentale, soprattutto quella dei più giovani. Secondo una ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità pubblicata nel marzo 2022, i pazienti trattati presso i Centri accreditati per i disturbi del comportamento alimentare in Italia sono quasi 9.000. Tuttavia, questa cifra potrebbe essere significativamente inferiore rispetto ai circa 3 milioni di persone che necessiterebbero di trattamenti, ma non accedono alle cure o non lo fanno in modo adeguato.

La possibile mancanza di finanziamenti dal prossimo 31 ottobre desta preoccupazione, non fosse altro, solo in considerazione di questi dati. La complessità dei disturbi alimentari, quali anoressia e bulimia che coinvolgono mente e corpo, li rende paragonabili a patologie oncologiche. Vanno affrontati in modo multidisciplinare e, il Fondo cancellato, ha permesso, a oggi, l’assunzione di 780 professionisti specializzati, tra cui psicologi, psichiatri, neuropsichiatri infantili, infermieri, dietisti e medici specialisti in nutrizione clinica. In Italia, ci sono attualmente 126 strutture specializzate, di cui 112 sono pubbliche e 14 private accreditate. E tuttavia, anche questa rete di strutture è considerata insufficiente davanti alla imponenza del problema. Senza considerare le disparità significative nella distribuzione delle strutture specializzate tra le regioni, con la maggior parte concentrata al Nord. Il mancato stanziamento di nuovi fondi mette a rischio di chiusura gli ambulatori entro il 2024, interrompendo l’assistenza a pazienti già in cura e impedendo la possibilità di intercettare precocemente nuovi casi.

L’obiettivo per l’Italia nei prossimi anni dovrebbe essere diffondere le conoscenze su tali disturbi e garantire che coloro che sono competenti possano curare il maggior numero possibile di persone, con continuità e concentrandosi sulla presa in carico multidisciplinare dei pazienti da parte di specifici servizi ambulatoriali e territoriali già attualmente in cerca di ingenti rinforzi. Feynman, a proposito del metodo scientifico ricordava che non importa quanto bella sia un’intuizione, non importa quanto intelligente sia la persona che l’ha formulata o quale sia il suo nome. Se non è in accordo con gli esperimenti, è sbagliata. È tutto qui! E al cospetto di questi dati impietosi, l’insegnamento del Nobel risuona forte.

Cancellare i fondi è sbagliato e ora la soluzione per invertire questa rovinosa rotta, risiede nelle mani di coloro che hanno il potere di decidere e di rivedere quanto già deciso. Che sia attraverso l’allocazione di nuovi fondi tramite un decreto-legge, l’inclusione dei disturbi alimentari nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) o tramite altre strategie più o meno innovative, il mandato è uno ed è chiaro: preservare l’autentica universalità del nostro straordinario Sistema Sanitario Nazionale garantendone, inoltre, una sostenibilità che non sia abbia la scadenza dello yogurt in frigorifero. Qui si tratta di aspetti fondamentali: la salute di una popolazione, la solidità della Sanità pubblica e il benessere di un’intera nazione. È il momento di agire con determinazione basata sull’evidenza, perché la posta in gioco non è solo la qualità della vita delle persone. Nei casi più gravi è la vita stessa.