L'intervista
Auto elettriche, l’Europa fa retromarcia. Merigo: “Percorso impostato male. I biocarburanti? Una risposta immediata”
L’Europa ha riaperto il dossier più divisivo della transizione industriale: il futuro dell’auto. Nel dibattito sul 2035, la Commissione UE ha introdotto una nuova impostazione che mantiene la direzione di marcia ma apre una flessibilità: riduzione delle emissioni al 90% e un margine residuale da gestire con meccanismi di compensazione. È una correzione di rotta o un semplice aggiustamento tattico? Ne parliamo con l’Ing. Flavio Merigo, past President del Comitato Tecnico “Specifc Aspects For Gasos Fuels”.
Che cosa significa davvero la svolta europea sul 2035: “-90% con compensazione” è un compromesso intelligente o l’ammissione che il percorso era sbagliato?
«È l’ammissione che il percorso era impostato male. Il 90% non risolve il problema, ma è una breccia in un muro di intransigenza: si riconosce che i carburanti alternativi, i biocarburanti, possono avere un ruolo e si sconfessa l’impostazione precedente».
La compensazione con acciaio a basse emissioni o carburanti “moderni” può essere un meccanismo serio o rischia di diventare solo un alibi?
«Rischia di essere un alibi: è difficile misurare in modo semplice e oggettivo quanta componente “green” entra davvero in un veicolo. Se non si individuano indicatori immediati e verificabili, si finisce a complicare la vita su elementi marginali».
Qual è l’errore metodologico che ha guidato fin qui la politica europea sull’auto?
«Aver ridotto tutto alla misura, “allo scarico”. Se il problema è ambientale, bisogna valutare l’intero ciclo di vita: il Life Cycle Assessment è l’unico modo per capire il bilancio complessivo di una tecnologia o di un carburante. Misurare solo allo scarico, dal punto di vista tecnico, non sta in piedi».
Sul piano economico, che cosa hanno prodotto anni di incertezza normativa e messaggi contraddittori?
«Hanno tolto certezze agli investitori e alle imprese. Imporre una direzione non coerente con la domanda reale ha messo in difficoltà le case e ha colpito tutta la filiera. E anche oggi, questi correttivi non bastano: serve un messaggio molto più consistente».
Dal punto di vista industriale e geopolitico, l’Europa ha regalato vantaggio competitivo ai concorrenti?
«Secondo me sì. Abbiamo messo paletti alla nostra industria, mentre altri Paesi hanno giocato con costi dell’energia più bassi e produzioni più competitive. Il paradosso è vedere crescere prodotti importati a prezzi aggressivi mentre noi aumentiamo vincoli e complessità».
Dentro quel margine “residuo” post-2035, quali tecnologie considera più credibili nel breve-medio periodo?
«Se l’obiettivo è avere soluzioni praticabili e sostenibili anche per le persone, la risposta immediata sono i biocarburanti e soprattutto il biometano: è rinnovabile, ha infrastrutture già disponibili, non richiede modifiche radicali ai veicoli e ha vantaggi sul piano energetico e ambientale».
Lei insiste molto su una leva “subito applicabile”: il carbon correction factor. Che cosa cambierebbe?
«Se l’Europa riconosce i low carbon fuels, deve anche riconoscere un fattore correttivo sulle emissioni. Oggi un veicolo alimentato a biometano viene contabilizzato come se usasse metano fossile: così il mercato non vede il vantaggio. Un carbon correction factor consentirebbe a case e Stati di valutare immediatamente il beneficio e ridurre la CO2 equivalente “contabile”, con effetti diretti anche sulle multe e sulla pianificazione industriale».
Idrogeno: promessa, moda o tecnologia destinata a restare di nicchia?
«L’idrogeno sarebbe ideale in teoria, ma il nodo è come lo si produce e a che costo. Se deve essere “verde”, oggi i costi sono ancora troppo alti e la logistica di distribuzione aggiunge complessità. Negli ultimi anni vedo più realismo: l’idea dell’idrogeno “facile e immediato” sta rientrando».
Chi paga la transizione e come si evita che diventi socialmente regressiva?
«Se non migliora lo stato attuale che si limita a promettere miglioramenti o cambiamenti, quello futuro non regge. Le decisioni devono tenere insieme tecnica, economia, energia e impatto sociale. Se il risultato è un’auto accessibile solo a una minoranza, la transizione perde consenso ed efficacia».
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