A dieci giorni dal discorso di sabato 30 gennaio ai catechisti italiani in cui Papa Francesco chiedeva, di nuovo, di fare il Sinodo della Chiesa italiana (anzi stavolta ha detto: dovete farlo!), si stanno versando torrenti di inchiostro. Virtuale, ovviamente.
Marcello Neri non la manda a dire: “A oggi sappiamo cosa non deve essere l’avvio di un processo di Sinodo nazionale in Italia: non i convegni nazionali che hanno caratterizzato tutto il nostro post-concilio; non i sinodi diocesani celebrati in questo medesimo periodo, che sono stati praticamente tutti delle montagne che hanno partorito dei topolini; non l’orchestrazione, per mano della CEI e dei suoi uffici, di un’ulteriore retorica che fa il verso al papa e lascia morire ogni possibilità di aprire una nuova epoca del cattolicesimo italiano”.
Francesco Cosentino fa l’elenco delle questioni urgenti: “la grave crisi della catechesi dell’iniziazione cristiana; l’assenza dei giovani e le difficoltà legate alla trasmissione della fede; il rinnovamento dell’eccessiva «stabilità» della parrocchia in un mondo che ha inaugurato stili di vita mobili, fluidi, veloci e plurali; la sfida della centralità della Parola di Dio, spesso marginalizzata da un agire pastorale «sacramentalizzato» e da forme di cristianesimo eccessivamente devozionistico e sentimentalista; una nuova riflessione sul ministero e sulla formazione del presbitero e sui ministeri nella comunità cristiana; una seria riflessione sul ruolo della donna nella Chiesa e sull’accompagnamento di tutte le situazioni esistenziali ferite, oltre il muro di una religiosità legalista che «scaglia pietre» e oscura la fede che si fa compagna solidale con l’umano”.
Con questo elenco, si capisce bene la reticenza dei vescovi… chi avrà il coraggio di mettere ordine nella caotica situazione delle parrocchie, dei parroci, della gestione delle attività e dei laici?
Il teologo Giuseppe Lorizio auspica che “si chiamino a raccolta le migliori menti presenti nel nostro contesto”, non più “per occupare spazi” ma contribuire davvero alla crescita di tutta la società italiana. E su Famiglia Cristiana ha insistito ricorda che nel rapporto con la società (e con la politica) la Chiesa ha un suo “quid” ineliminabile: “la visione evangelica della Chiesa, chiamata a difendere, non solo le istituzioni educative cattoliche o l’ insegnamento della religione, ma soprattutto i valori radicati nella fede quali la giustizia sociale, la vita, soprattutto nella sua fragilità, la famiglia, l’ accoglienza ospitale… “.
Ed Enzo Bianchi da Bose (ma a proposito: che fine ha fatto la questione del suo allontanamento?) sagacemente aggiunge: “In vista di un eventuale sinodo per l’Italia, che richiederebbe non una preparazione di testi e di programmi ma una prassi di vita ecclesiale sinodale, perché non pensare a costituire nelle chiese locali dei forum, cioè degli spazi in cui tutti i battezzati che si sentono parte del popolo di Dio possano esprimersi in merito a una lettura della vita dei cristiani nel nostro paese, a un discernimento della loro fede e del primato del Vangelo accolto nelle chiese e nelle comunità?”
Poi qua e là nelle pieghe dei siti cattolici prima citati spuntano altri articoli sul “malessere” del clero (qualcosa avevo già scritto qui) in tempi di coronavirus: preti stressati, comunità parrocchiali in difficoltà, pastorale che arranca, un modello di Chiesa messo alla prova e risposte che non arrivano. Non è che scarseggiano (sarebbe qualcosa); proprio non arrivano.
Ecco tutti i motivi per cui questo Sinodo della Chiesa italiana sarebbe meglio non farlo: la leadership ecclesiale nostrana non è proprio il massimo e finché va così, con i problemi che aumentano al punto che nessuno sa più che fare. Meglio allargare la dimensione del tappeto e continuare a nasconderci sotto qualsiasi cosa?
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