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La principessa e i poveri

Avvocato e scrittore
La principessa e i poveri
Lucia Abbatantuono

Riflessioni sulla povertà scritte a quattro mani con Lucia Abbatantuono, opinionista dei giornali “La Giustizia” e “Chaos”.

 

E dire che l’abbiamo difesa da queste colonne, da questa rubrica, e lo rifaremmo ancora, con convinzione se fosse necessario, perché sospendere una persona dalla sua attività professionale per 15 mesi in nome del decoro e per vicende che ricadono nella sfera della vita privata è una cosa che, nei tempi moderni, non s’affronta.

Che poi ‘sto decoro che roba è non s’è capito e tantomeno chi è che decide quando un comportamento o un abbigliamento o una foggia sono fuori dal decoro.

Così come non s’è capito quali sono le unità di misura che ne regolano la soglia; magari i centimetri delle minigonne inguinali o i millimetri dei fili interdentali che ormai imperversano tra i bikini delle spiagge italiane anzi mondiali.

Ma poi quanta ipocrisia si nasconde dietro il decoro e il pudore, concetti che oggi hanno un valore, ieri ne avevano un altro e domani un altro ancora. La stessa ipocrisia che negli anni ‘50 indusse un giovane deputato, divenuto poi Presidente della Repubblica, a schiaffeggiare in un ristorante una signora, che non conosceva, solo perché aveva le spalle scoperte e nude.

E anche in quella occasione, eravamo a Torino: città dalle profonde radici sabaude (sinonimo di perbenismo hic et nunc).

Che poi in questa famosa dc_legalshow, la pagina Instragram dell’Avvocato Alessandra Demichelis, non c’è nulla di che se non una valanga di edonismo reaganiano, qualche accenno di chiappette meno nude di quelle che abitualmente vediamo sulle spiagge, e una serie di dirette deliranti.

E qui casca l’asino.

Quando ci siamo imbattuti nella sua vicenda avevamo sperato che la “Alessandra della Mole” divenisse il simbolo di una nobile battaglia contro il medievalismo degli ordini professionali, che divenisse la moderna Budicca di Albione o la Marianna della Bastiglia.

Ma evidentemente la avvenente avvocatessa del foro di Torino aveva altre mire. Forse di essere una principessa.

Soprattutto ha altre idee che invece, al contrario di quelle sul decoro, non riusciamo a digerire.

In effetti, qualche mese prima che diventasse famosissima per le vicende disciplinari, in una diretta su un social, parlando in macchina con amici, se ne uscì con queste testuali parole: “Che schifo, i poveri dovrebbero bruciare all’inferno”.

“Intendevo i poveri di spirito,” si giustificò, dopo che sulla vicenda si era alzato un polverone della Madonna.

Peccato però che, a parte il tenore dell’affettato colloquio che non lascia spazi a equivoci, successivamente la signora si sia ripetuta.

In un paio di recenti dirette girate, durante le sue fantasmagoriche vacanze, per attaccare una volta i giornalisti e una volta i suoi detrattori, ricorre più volte alla parola poveri, con ribrezzo, utilizzandola come strumento di insulto e offesa.

Con la voce e il viso che hanno molto il sapore di chi, in una nottata di primo agosto, si è appena lasciata andare si è rivolta ai cosiddetti haters e, puntandosi addosso la telecamera del cellulare con focus sulla profonda e generosa scollatura, dice: “Siamo in pieno agosto e state ancora lavorando? Ma se siete poveri che caxxo me ne frega? Avete la vita talmente povera che con la querela non riuscirei a togliervi neanche lo stipendio”.

Con un Cartier al polso e una borsa Chanel sulle gambe, istrionica e manipolatrice, sarebbe una perfetta show girl, se decidesse di impegnarsi solo in quello, con tanto di tette finte, “regalo di laurea di mio padre, che voleva regalarmi l’auto ma io gli ho chiesto solo di cambiarmi le gomme”.

Che classe.

Peccato che questa sua apologia alla ricchezza e alla bellezza diventi invece subito l’emblema della rovina di decenni di ardue lotte riformiste e femministe andati tutti in frantumi.

Lotte portate avanti da altre donne, altre professioniste, di altra levatura: come Rita Levi Montalcini, che ribadì alle sue giovani allieve “Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla, se non la loro intelligenza”. O come Oriana Fallaci, che col suo solito sarcasmo affermò “Chi ha detto che essere belli vuol dire avere dei bei tratti? A volte essere belli significa avere spirito, eleganza, dignità”. Messaggi profondi, sui quali riflettere e che ammoniscono quanto sia davvero vuoto “l’apparire” senza un “essere” che l’accompagna.

E poi le lotte della socialdemocrazia, italiana e poi europea, che da un centinaio di anni, attraverso le riforme, hanno spinto per l’azzeramento delle diseguaglianze economiche e sociali, per l’azzeramento della povertà, “perché nessuno resti indietro nella corsa per la vita”.

Quanta distanza dalle performance della signora Demichelis perché, se non ce ne può fregà de meno dei suoi soldi, delle sue vacanze, dei suoi vestiti, tutta roba indubbiamente bella e lussuosa, disprezzare i poveri e ingiuriare i lavoratori è indiscutibilmente espressione di una inequivocabile  volgarità, mentale e di spirito.

Una mancanza di “essere” che toglie ogni valore a qualunque “apparire”.

E che alla Demichelis evidentemente manca, pur essendo chiaramente una bella donna. E basta.

E se l’arretratezza di tanti ordini professionali che ripropongono nel terzo millennio i modi tipici del più buio oscurantismo (compreso l’Ordine degli avvocati) non s’affronta, parimenti non s’affronta la arretratezza bizantina di persone come Alessandra Demichelis che dalla opulenza che la ciconda guarda con disprezzo attorno a sé il mondo che non le è pari.

Cara Alessandra, io e la coautrice di queste note, a differenza tua, non odiamo e tantomeno i ricchi, vorremmo solo che non ci fossero i poveri, padri e madri che a ogni alba devono sperare di trovar qualcosa da mangiare per i loro figli.

Ma una cosa è certa, pur non essendo ricchi, e pur non odiandoli, non vorremmo mai essere come te.