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La spesa di Nonna Roma che fa del bene

Giornalista freelance
La spesa di Nonna Roma che fa del bene

Rency ha perso la mamma proprio oggi, è morta nel suo villaggio delle Filippine e lei è a lutto: esce da un condominio dignitoso, con gli occhi umidi, la mascherina e i guanti. Ringrazia con un filo di voce per il pacco alimentare, la colomba e la busta di fave fresche che le abbiamo portato. Lei ha 32 anni – leggo sul modulo di consegna che firma – e ha perso il lavoro da fine febbraio, quando il virus ha fatto il suo ingresso insieme al terrore del contagio e tutte le persone – soprattutto donne – impiegate (a volte in nero, altre con regolare contratto di lavoro) in ruoli di cura e di servizio, hanno smesso di lavorare.

È uno dei primi pacchi spesa che – con Nonna Roma – portiamo alle famiglie che ne hanno fatto richiesta. È la seconda domenica di maggio e a fine giornata saranno consegnati 300 spese, il giorno prima, i volontari ne hanno portate 400: pasta, passata di pomodoro, tonno, biscotti, una colomba e una busta di fave fresche.

Nonna Roma è attiva da tre anni, nel quadrante est della Capitale, con un banco alimentare che – stabilmente – raggiunge circa 250 nuclei familiari. Durante la pandemia i volontari dell’associazione nata da un circolo Arci del Pigneto – Sparwasser – sono riusciti a distribuire pacchi alimentari a 12mila famiglie rimaste senza reddito: sono soprattutto filippini, ma anche italiani, poi bengalesi e nord africani. Li chiamano “nuovi poveri”, in realtà, di nuovo non hanno niente: prima della quarantena cercavano di restare a galla come meglio potevano. Dopo, sono affondati.

Come Jonalyn – giovanissima, ha 28 anni – che però ci accoglie con gli occhi che sorridono: da un mese ha partorito al San Filippo Neri: sola. Il marito non ha potuto assistere al parto, in pieno lockdown, sono rimaste – lei e la bimba – in ospedale per una settimana a causa di alcune complicanze. Poi tutto è andato bene: ci dice che per la sua famiglia è stato molto difficile. Anche il marito ha dovuto smettere di lavorare per tenere l’altra figlia, di 7 anni, mentre lei partoriva. La bella notizia è che proprio in queste ore, lui ha ricominciato a lavorare in un supermercato. Così, prende la colomba e ringrazia felice.

Il Comune di Roma ha acquistato derrate alimentari per un valore di 1 milione di euro: distribuendo circa 1200 pacchi a municipio che le associazioni sul territorio si incaricano di distribuire. “Nonna Roma ci aggiunge anche molti prodotti freschi”, mi racconta Irene, una volontaria. Oggi, insieme ai pacchi del Comune, ci sono anche le colombe, frutto di una donazione fatta da Emergency – cinquemila in tutto – poi suddivise tra le diverse realtà di cittadinanza attiva.

Tutti i volontari di Nonna Roma, ogni weekend, partono dal magazzino sulla Togliatti con le macchine cariche di pacchi: dalle 5 alle 7 spese a macchina, che andranno ad altrettante famiglie. I volontari sono centinaia e durante la quarantena si sono moltiplicati, raggiungendo tutti i municipi di Roma.

“Quando, mesi fa, abbiamo cominciato a immaginare Nonna Roma avevamo due obiettivi principali”, raccontano i coordinatori dell’associazione: “il primo era aprire un banco di distribuzione alimentare per le persone meno abbienti di ogni nazionalità, in una modalità partecipata, laica e fortemente radicata nel territorio del V Municipio, il quadrante più povero della città; il secondo era partire dal cibo per attivare una rete di servizi intorno alla persona, per permettere agli utenti di uscire da una condizione di disagio e marginalità economica e sociale: dalla scuola popolare a corsi di alfabetizzazione informatica allo sportello socio-sanitario, da strumenti per l’inserimento lavorativo alla possibilità di costruire impresa sociale e molto altro bolle in pentola”.

Nonna Roma non è solo un banco alimentare, dunque, ma anche un progetto di integrazione sociale e culturale: “Con la libreria Risma raccogliamo libri, donati o acquistati appositamente, e li aggiungiamo ai pacchi della raccolta alimentare che ogni fine settimana distribuiamo a centinaia di famiglie in difficoltà”. Ci sono libri per bambini o per adulti, saggi e romanzi, perché “siamo convinti che non ci si nutre di solo cibo e nessuno può essere lasciato indietro”.

Una delle ultime persone a cui consegniamo la spesa, domenica, è Carmen. Lei vive in un camper parcheggiato dietro un cancello insieme alla madre e un’altra connazionale amica: sono messe molto male. Carmen lavorava per due famiglie, in nero, è del ’71 e ha un sorriso strano, come di chi non ha più nulla da perdere e, soprattutto, come di chi con la miseria fa i conti da tutta una vita.

Non è così per tutti. Gabriele – uno dei responsabili di Nonna Roma – racconta di un insegnante di musica che a causa del lockdown ha smesso di impartire lezioni private, precipitando velocemente in una condizione di indigenza.

“I più colpiti da questa quarantena sono stati, soprattutto, lavoratori nel settore della ristorazione e poi nei lavori di cura e assistenza. Ma anche lavoratori autonomi e partite iva”, spiega Diana.

Se l’ultimo Rapporto Istat sulla povertà – pubblicato nel gugno del 2019 – parlava di oltre 1,8 milioni di famiglie in povertà assoluta e di 3 milioni in condizioni di povertà relativa, secondo il primo monitoraggio nazionale della Caritas – condotto dal 9 al 24 aprile coinvolgendo 101 Caritas diocesane, il 46% del totale – dopo due mesi di isolamento, è raddoppiato il numero dei poveri che per la prima volta si sono rivolti ai Centri di ascolto e ai servizi delle Caritas diocesane rispetto al periodo di pre-emergenza.

È cresciuta la richiesta di beni di prima necessità, cibo, viveri e pasti a domicilio, empori solidali, mense, vestiario, ma anche la domanda di aiuti economici per il pagamento delle bollette, degli affitti e delle spese per la gestione della casa. Allo stesso tempo, è aumentato il bisogno di ascolto, sostegno psicologico, di compagnia e di orientamento per le pratiche burocratiche legate alle misure di sostegno e di lavoro.

Un dato confortante è il coinvolgimento della comunità e l’attivazione solidale: sono aumentati i volontari, insomma. Come i tantissimi ragazzi di Nonna Roma che spendono tutti i fine settimana a servizio di chi ha più bisogno.

Perché “Nonna Roma”? chiedo, alla fine, a uno dei ragazzi: perché, mi spiegano, le nonne sono “un pronto soccorso familiare dove rifugiarsi quando abbiamo bisogno di sentirci a casa, una persona che si prenda cura di noi e che non faccia troppe domande. Alle nonne deleghiamo un pezzo di welfare individuale e sociale indispensabile, ma che oggi manca a molti. E che non spetta alle nonne colmare”.

Sta di fatto, che il bene chiama altro bene. Chi lo ha sempre fatto, non smetterà mai di farlo.
Ora che ogni certezza è crollata, vorremmo che bussasse alla nostra porta a portarci conforto.

Fonti:
https://www.istat.it/it/archivio/231263
https://www.avvenire.it/attualita/pagine/caritas-raddoppiati-i-nuovi-poveri-e-il-virus-cambia-i-servizi-diocesani