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Laura Pausini, tenacemente “pop” contro il precotto di questi tempi

Giornalista e Docente
Laura Pausini, tenacemente “pop” contro il precotto di questi tempi

Scrivere di Laura Pausini mi provoca un mix indistinguibile di imbarazzo ed euforia, specialmente considerando che sono un suo fan “doc” fin dal 1993, fatto ben noto a chi mi conosce. Cerco, pertanto, di mantenere un approccio il più possibile imparziale, focalizzandomi su una riflessione più squisitamente musicale, più attinente al “sound” se mi è consentito. 

Inizio con una critica di “sistema”:  cosa impedisce, nonostante le distinzioni tra mercati (latino, europeo, americano e altre amenità), di far suonare nelle radio italiane il nuovo duetto della cantante romagnola con Luis Fonsi dal titolo “Roma”, a cui – non esagero – non si trova un difetto nemmeno a sforzarsi? Mica la mia è una difesa d’ufficio (sarebbe banale no?) ma un appello per un cambio di paradigma: dobbiamo seguire il gusto del momento o offrire una varietà di opzioni e poi lasciare che il pubblico scelga? E siamo sicuri che in Italia il genere pop-rock, autenticamente cantato (inteso come note vere su un pentagramma vero), sia destinato allo snobismo a favore dell’autotune e di suoni generati da algoritmi e campionamenti?

Per alcuni saranno paturnie ma credo di provocare un tema su alcune scelte di palinsesto, poi sarò pronto a rivedere i miei dubbi. Ma sono ostinatamente convinto della forza della musica che amo definire “no-plugin”, senza lifting, quella che dal disco al live (e senza magheggi del fonico) si fa ascoltare e interiorizzare. Penso ad artisti del calibro di Adele, Taylor Swift o alla stessa Beyoncé che si addentra nel new country. Si ha bisogno, insomma, di tornare a suoni più lineari, ad arrangiamenti più caldi, a testi che non devono per forza destrutturare la metrica per darsi un tono di “cancel-culture” de noantri. E come si intuisce, è una sintesi di tante variabili che vanno tutte sapientemente dosate dalla melodia al testo quando anche fossero semplici. Del resto non dimentichiamoci quanto diceva John Winckelmann secondo cui la nobile semplicità e la quieta grandezza partoriscono dei capolavori. 

Nonostante quindi le miopie di cui sopra, resta la  disintermediazione del web con oltre un milione di streaming del video della hit in una sola settimana, un dato che non va considerato solo in termini di contabilità ma che sottolinea la qualità autentica della canzone, la prima del nuovo album del portoricano Luis Fonsi, il quale dopo il successo mondiale di “Despacito” (2017) torna al pop puro  duettando con la sua Hermana Laura Pausini per la seconda volta (la prima collaborazione risale a sedici anni fa nel 2008 con “Todo vuelve a empezar“).

“Roma” è una ballad e soprattutto un inno all’imprevedibilità del cuore e all’inesplicabilità dell’amore, che, come un ladro nella notte, può rubare i nostri cuori.

De repente, me vuelvo ladrona/ Te robo un beso en Roma/ Y No me importa si fue un error

Già in un commento alla stessa cantante ho scritto che il brano è un distillato di musica pop che, riuscendo nell’intento, crea un gioco di voci, ritmi e armonie meravigliose. Gli incastri sembrano immediati, ma è proprio qui che risiede la forza del pop: creare canzoni che, nella loro semplicità, diventano uniche. Il duetto Fonsi-Pausini offre un suono impeccabile e sincero che, sorprendentemente, procede per sottrazione: non ci sono archi, ma l’ascoltatore rimane affascinato dalla magnetica melodia. Si conferma – parafrasando – quanto diceva Antonello Venditti, e cioè certi accordi “non finiscono/ fanno dei giri immensi e poi ritornano. 

Contro il logorio del precotto, Laura Pausini tira dritto e canta la musica di note, con buona pace della sordità di certe playlist radiofoniche, dei tatticismi del mercato oltreché  di un certo snobismo musicale che sembra girare a vuoto come i criceti che corrono corrono  rimanendo sempre nello stesso posto e proponendo sempre la stessa solfa.