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Piccoli ma necessariamente digitali

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Piccoli ma necessariamente digitali

Quando si affrontano le tematiche legate al mondo della Moda, è inevitabile, il pensiero volge immediatamente alle grandi Maison, al quadrilatero milanese, alle sfilate parigine.

Esiste, tuttavia, un mondo relativamente invisibile al grande pubblico, popolato da 55.000 piccole imprese con 309.000 addetti  (pari a 2/3 dell’occupazione del settore).

Di queste, 36.000 sono artigiane e danno lavoro a 157.000 occupati (fonte Confartigianato Imprese).

L’essenza del Made in Italy la si respira proprio nei piccoli laboratori artigiani, nelle microimprese che sviluppano la prototipia, nelle PMI che producono e distribuiscono abbigliamento, accessori, calzature.

Fin qui tutto bello e tutto molto romantico.

Ma è arrivata la pandemia, evento che ha posto queste imprese, inesorabilmente, di fronte ad una cruda realtà: la scarsissima digitalizzazione.

La pandemia ha messo a nudo ciò che ormai si sapeva da anni, un argomento del quale si dibatteva nelle tavole rotonde sul sistema Moda e che è stato centrale nei principali provvedimenti di sostegno alle imprese in chiave 4.0 (tuttavia pochissime realtà hanno colto lo spunto).

Le limitazioni negli spostamenti hanno imposto la necessità di dotarsi di sistemi di videoconferenza performanti: moltissime aziende, soprattutto quelle dei territori interni, hanno realizzato di non avere una connessione sufficiente e stabile, o addirittura non avere la fibra.

La difficoltà di organizzare delle riunioni di lavoro in presenza, ha determinato la necessità di scambiarsi le informazioni in maniera digitale: la maggior parte delle aziende del comparto Moda non ha un sistema di modellismo e prototipazione virtuale, che consenta di condividere la progettazione dei capi anche a distanza.

L’impossibilità di incontrare i buyer internazionali è stata risolta, dai grandi gruppi, proponendo i prodotti attraverso i propri showroom virtuali: la quasi totalità delle micro e piccole aziende non ha alcun software per la presentazione digitale dei prodotti.

La riduzione della domanda domestica si supera lavorando su piattaforme digitali che offrono sbocchi internazionali: la gran parte delle realtà del settore ha mai avuto un e-commerce proprio e non lavora con i principali market placer o con le piattaforme B2B.

Inutile dilungarsi oltre negli esempi ma la sostanza del ragionamento risulta evidente: le aziende del comparto si sono trovate totalmente inadeguate ed impreparate, non avendo mai investito in una revisione dei processi e dei software aziendali. Per affrontare il nuovo scenario competitivo imposto dalla pandemia, queste realtà hanno una sola scelta: mettersi velocemente al passo con i tempi.

Non è più sufficiente decantare la bravura delle nostre sarte, la capacità dei nostri designer o le qualità dei nostri prodotti; tutto ciò deve essere approcciato in chiave contemporanea, riflettendo a fondo sulla circostanza che i consumatori dei prossimi 30 anni (coloro che oggi hanno 15 anni), sono nati digitali ed hanno comportamenti di acquisto totalmente sconosciuti alle generazioni passate.

Ecco che il Recovery Plan, con le risorse che arriveranno dall’Europa nei prossimi anni costituisce l’occasione irripetibile, da non perdere assolutamente, per avviare un processo di reale trasformazione delle nostre micro e piccole imprese, ponendole in un’ottica di mix virtuoso tra il know how delle maestranze esperte e la digitalizzazione dei nuovi processi aziendali.

Il sistema imprenditoriale italiano rimarrà sempre un sistema fondato sulle micro e piccole imprese, spesso artigiane, ed è proprio questo l’elemento distintivo e caratterizzante del Made in Italy  ma se saprà cogliere il cambiamento ed adattarsi alle nuove esigenze, sarà un sistema produttivo proiettato verso il futuro, con un valore complessivo multiplo rispetto a quello attuale.

Rimaniamo piccoli ma, necessariamente, digitali.