Cos’è lo spazio del carcere? Dovrebbe essere la missione e la pena, ma finisce sempre più spesso per essere solo la pena, se non addirittura una pena aggiuntiva rispetto alla condanna stabilita dalla giustizia. E la missione rieducativa passa in secondo piano, se non addirittura scompare. Lo spazio del carcere, quindi, andrebbe rivisto, sia in quanto forma che sostanza, sia esso espressione della funzione di rieducazione o espressione della limitazione della libertà. Andrebbe rivisto anche come spazio fisico, nonché come spazio sociale perché segna la distanza tra il carcere e la città in cui ha sede, tra il popolo dei reclusi e i cittadini che sono fuori.

La Campania è tra le regioni italiane con il più alto numero di carceri: ben 15 sparse su tutto il territorio regionale, tra le quali Poggioreale che è indicato come il più grande penitenziario d’Italia, forse anche d’Europa, e sicuramente il più affollato. La Campania, dunque, è una sorta di fortino detentivo e si colloca al secondo posto in Italia per l’alto livello di sovraffollamento nelle celle. Lo spazio delle carceri campane, a leggere statistiche e report, è uno spazio che risponde a logiche architettoniche antiche e genera per questo grossi limiti fisici e culturali. Basti pensare che la casa di reclusione di Aversa fu la sede del primo manicomio giudiziario d’Italia e sorge in un edificio dell’Ottocento, antico convento di san Francesco.

Il carcere di Eboli, che attualmente è una struttura a custodia attenuata per il trattamento delle dipendenze da alcol e droghe, trova spazio in un castello medievale. Vallo della Lucania è un carcere piccolissimo, di sole dieci celle in un edificio vetusto. Pozzuoli, che è il carcere femminile di Napoli, sorge in un edificio del Quattrocento che un tempo ospitava un convento di frati. Il carcere di Santa Maria Capua Vetere risale al 1996, ma da allora ha problemi idrici.

Per il resto, tra i penitenziari di Napoli e delle altre città campane ci sono problemi di riscaldamento, acqua calda e bagno nelle camere detentive. Il 22% delle strutture campane non ha docce nelle celle, il 37% delle carceri non prevede il bidet in camera, e nel 16% delle celle non c’è acqua calda. Ci sono, inoltre, carceri che non hanno aree verdi, altri senza laboratori e officine di lavorazione, e altri ancora che non hanno una ludoteca né spazi per gli incontri dei detenuti con i figli minori. Quanto a Poggioreale, il carcere più grande e più affollato, sorge nella prima cinta della periferia, a poca distanza dal centro di Napoli, a ridosso della zona della Stazione centrale e della city con gli uffici,ma, per certi versi, sembra un mondo a parte. La struttura risale al 1918 e, nonostante alcuni lavori di ammodernamento e ristrutturazione eseguiti negli anni, è un carcere vecchio. I 12 milioni di euro stanziati per rimettere a nuovo quattro padiglioni dovrebbero essere sbloccati nei prossimi mesi dopo uno stallo durato anni e denunciato dal garante regionale dei detenuti Samuele Ciambriello.

Gli spazi, nel complesso, per come furono concepiti oltre un secolo fa e ancora resistono, non rispondono alle moderne concezioni di carcere e di pena, che sono poi quelle più rispondenti ai principi della Costituzione e alla linea indicata dall’Europa che più volte ha bacchettato l’Italia per la questione carceri. «Poggioreale andrebbe chiuso, dovrebbe diventare un museo – osserva Luigi Romano, presidente di Antigone CampaniaL’architettura carceraria fa molto e l’attuale edilizia penitenziaria è un problema perché abbiamo carceri vecchissime. L’architettura di un penitenziario testimonia il modo con cui si concepisce la pena e la maggior parte delle strutture non è pensata per favorire attività trattamentali, oltre ad avere carenze che richiederebbero importanti interventi di manutenzione e ristrutturazione».

Mettere al centro del carcere la sua funzione riabilitativa significa, dunque, ripensare al carcere anche sotto l’aspetto architettonico. Del resto è ormai pacifico che lo spazio ha un ruolo fondamentale e lo spazio in cui si vive condiziona l’individuo. Se veramente si vuole un carcere che favorisca la rieducazione e non solo la restrizione, che riduca le recidive e aumenti il senso di sicurezza nei cittadini, servono anche strutture architettonicamente adeguate. «Attenzione – conclude Romano – Se si vogliono costruire nuove carceri bisognerà chiudere quelle vecchie, altrimenti saremo punto e daccapo».

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).