Agitazione e velleitarismo
Caro Pd, l’opposizione forever non fa onore alla tua storia: Schlein rischia di sgretolare un partito regalando al centrodestra uno spazio enorme
Panebianco avverte: gli elettori dem preferiscono rimanere una minoranza Senza ambizione di governo, il partito si ridurrà a testimonianza irrilevante
Nella discussione intorno alle difficoltà del Pd (e del centrosinistra) a dotarsi di una credibile proposta di governo interviene Angelo Panebianco, sul Corriere della Sera del 8 ottobre, con un’acuta osservazione: «Non è assurdo ipotizzare che ciò che è oggi il Pd dipenda dal fatto che ai suoi elettori di riferimento va benissimo così». Il che spiegherebbe anche perché i riformisti, interessati a fare del Pd una forza di governo, siano ridotti al lumicino.
In altri termini, sostiene Panebianco, per una parte ampia degli elettori del Pd non ci sarebbe alcuna ragione di sconforto se il loro partito restasse all’opposizione anche dopo il 2027. Che le cose possano muovere in questa direzione lo dimostra, prosegue Panebianco, la vicenda politica del Pci, sempre all’opposizione dal 1947, senza che la sua forza si indebolisse: l’Unità usciva in edizione straordinaria con la parola “vittoria” in rosso, a caratteri cubitali, e sotto Botteghe Oscure i militanti esultavano per qualche punto percentuale in più, malgrado a governare sarebbe stata ancora una volta la Dc.
C’è tuttavia una differenza tra quel partito e il Pd. Quella del Pci era un’opposizione che contava. Lo Stato sociale italiano porta, nel bene e nel male, il segno dell’opposizione comunista. C’è da considerare inoltre che, almeno fino alla metà degli anni Ottanta, l’opposizione del Pci era collocata in un orizzonte politico che si riassumeva nella formula della “via italiana al socialismo”. E tuttavia, in questa dimensione che si sarebbe dimostrata illusoria, essere all’opposizione non costituiva un dramma né per l’elettorato che seguiva il Pci, né per i militanti. Il Pci conduceva l’opposizione contrastando implacabilmente qualsiasi suggestione massimalista. Nel confronto parlamentare, il gruppo comunista avanzava proposte almeno in parte realistiche che, se accolte, avrebbero dimostrato l’efficacia della sua opposizione. Non escludo che, nell’elettorato del Pd, possa prevalere l’illusione che stare all’opposizione non sia una posizione scomoda e che il partito potrebbe beneficiarne.
Del resto, alcuni notabili del Pd non esitano a sostenere che l’obiettivo sia compattare l’elettorato del partito, rinunciando all’ambizione di contendere all’altro schieramento elettorati e consensi moderati, e lasciando perdere l’idea — posta all’origine del Partito democratico — di insediarsi in uno spazio politico più ampio del bacino di consenso originario. Farlo significherebbe promuovere innovazioni nella cultura politica e nelle idee programmatiche. Ma la verità è che un partito che si acconciasse a oscurare sempre di più la prospettiva di governo sarebbe inevitabilmente portato a un’opposizione inconcludente: a sparare ogni giorno un obiettivo diverso, senza pensare a una strategia nazionale — oggi europea — nella quale collocare i grandi problemi del Paese, a sfidare il centrodestra sul futuro dell’Italia.
A prevalere sarebbe l’agitazione e, sulle questioni di politica estera, il velleitarismo, che condannerebbe il partito a essere del tutto ininfluente rispetto alle scelte impegnative che urgono. Non ci si illuda: se così fosse, il Pd non reggerebbe a lungo. Lo investirebbe un inevitabile processo di sgretolamento, perderebbe qualsiasi capacità di attrazione e lascerebbe al centrodestra, nonostante tutti i suoi limiti, uno spazio immenso. Si rende conto Elly Schlein del rischio che questo accada?
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