Il grido di dolore lanciato dai giudici alla fine dello scorso secolo sulla mole ingovernabile dei ricorsi in Cassazione aveva suggerito di introdurre nel 2001 una procedura semplificata di selezione preliminare, davanti ad un’aggiuntiva settima sezione appositamente istituita. Ne è passata di acqua sotto al ponte dinanzi al Palazzaccio; eppure, lo strumento dell’inammissibilità dei ricorsi è sempre più à la page. Conserva la natura di vizio fulminante, che preclude un esame delle ragioni delle impugnazioni, imponendo di emettere apposita pronuncia in tal senso. Ma vede progressivamente ingigantito il proprio ruolo. Da incisivo smaltimento dell’enorme carico di lavoro che assedia la Corte di cassazione la si incarica, addirittura, di fungere da baluardo a tutela delle funzioni attribuite alla giurisdizione di legittimità.

Meno cause in Cassazione

In tale ottica, non ci si accontenta di cestinare, per tale via, oltre il sessanta per cento dei ricorsi presentati; simile risultato parlerebbe da solo. Si assume, infatti, che alla massiccia riduzione della quantità sia destinato ad accompagnarsi un automatico innalzamento nella qualità della giurisdizione. Molte meno cause in Cassazione, grazie all’ampio utilizzo della sanzione dell’inammissibilità, sarebbe, pertanto, sinonimo di una ben più esatta ed uniforme interpretazione della legge penale. Come si pretende persino da parte di magistrati illuminati, insomma, anche attraverso l’inammissibilità si farebbe nomofilachia. Si tratta di scenari con direttrici assai ambiziose, se è vero che il rudimentale ragionamento economico sotteso non sembra abbia condotto agevolmente ai risultati sperati. Anzi, un più attento esame delle cause di inammissibilità, unitamente ad una ricognizione dei motivi di ricorso previsti dal codice di procedura penale induce a porre in rilievo i pericoli insiti in simile strategia.

I margini di proposizione del ricorso

Accanto ad ipotesi di inammissibilità delle impugnazioni di più agevole riscontro formale, ve ne sono altre che implicano interpretazioni e valutazioni di non poco momento circa i margini di proposizione del ricorso. Una cosa, infatti, è il mancato rispetto delle regole in materia dei termini o della legittimazione ad impugnare; ben altra cosa, è il rilievo in ordine alla presentazione di motivi non consentiti dalla legge o manifestamente infondati. Invero, la linea di discrimine tra un ricorso non proponibile in assoluto e quello solo infondato può risultare assai più difficile da tracciare di quanto a prima vista si possa pensare, in astratto e in concreto. Con un correlativo rischio: letture estensive o superficiali della portata delle disposizioni in materia possono condurre ad una sempre più estesa e sbrigativa selezione dei ricorsi sulla base di una malintesa delimitazione dei propri poteri.

La tagliola dell’inammissibilità

A ciò si aggiunga: il sistema non limita il momento della pronuncia di inammissibilità esclusivamente ad una fase del tutto preliminare del procedimento in cassazione, con pochissime garanzie ed a contraddittorio meramente eventuale e cartolare, potendo il ricorrente lamentarsi dinanzi alla settima sezione solo con note scritte e confidando in un ripensamento circa la cernita di inammissibilità già operata. La tagliola dell’inammissibilità può scattare anche dopo, all’esito della trattazione di ricorsi già scampati alla prematura selezione e, perfino, dopo la discussione in pubblica udienza. Cosa che accade tutt’altro che di rado e certo non per ricorsi privi di quei requisiti minimi che impedirebbero di adire il controllo di cassazione.

Il paradosso

Qui si annida il paradosso nell’attuale tendenza: potenziare il vaglio di inammissibilità, preliminare e non, dei ricorsi ha conferito alla Corte di Cassazione poteri ancora più estesi di quelli, già formidabili, attribuiti in ordine al controllo di legittimità. Essa diventa, ogni giorno di più, anche e soprattutto, giudice dell’estensione dei propri poteri e dell’area del ricorribile. Tale compito, viceversa, dovrebbe spettare esclusivamente alla legge.

Luca Marafioti

Autore

Professore ordinario di Procedura Penale