La Corte d’Assise di Venezia ha confermato l’ergastolo per Filippo Turetta, il giovane di Torreglia, nel padovano, che nell’ottobre 2023 uccise Giulia Cecchettin. Benché la Corte abbia condannato l’assassino al «fine pena mai», ha suscitato notevole indignazione la decisione dei giudici di escludere l’aggravante della crudeltà. I social, commossi da un femminicidio che ha scosso il Paese, sono andati in visibilio. A leggere le migliaia di commenti che hanno affollato il web sembrava quasi che i giudici fossero divenuti i veri carnefici. Non si sono neanche fatti attendere i commenti dei rappresentanti di tutte le forze politiche che hanno gridato, da più parti, allo scandalo per questa decisione della Corte.

La rabbia è montata e per un certo verso è sembrata giustificata viste le settantacinque coltellate che Turetta ha inferto a Cecchettin. Sì, avete letto bene! Non cinque, non venti: ben settantacinque colpi ripetuti. Fatichiamo persino a contare fino a settantacinque, figurarsi immaginare d’affondare la lama d’un coltello per settantacinque volte in un corpo. È superfluo che stia qui a ribadire la ferinità primitiva ed animalesca con cui l’assassino s’è avventato contro la vittima. Una crudeltà glaciale, lucida, premeditata che ha fatto di un ragazzo apparentemente «della porta accanto» il peggiore degli assassini. Non è compito mio perorare la causa di Turetta. Non trovo e non troverei argomenti ma, d’altronde, sarebbe financo inutile visto e considerato che le difese degli avvocati sono state tutte respinte.

Questione giuridica

Quello su cui però voglio porre l’attenzione è proprio l’esclusione dell’aggravante della crudeltà per sgomberare il campo da ogni equivoco. Come scrive la Corte la crudeltà «non è valorizzabile, di per sé, il numero di coltellate inflitte». Posso ben immaginare quanto la famiglia e la collettività si sentano deluse da una decisione di giustizia che, apparentemente, nulla ha di giusto. È difficile spiegare e motivare decisioni che, solo in superficie, non sono orientate nel senso di dispensare giustizia. Il diritto penale segue percorsi – il più delle volte tortuosi – che nulla hanno a che vedere con il furor di popolo, con l’ira generale, con gli istinti più bassi. La giustizia, quella vera, non deve solleticare la pancia per racimolare consenso. Gli amministratori della giustizia sono chiamati ad appellarsi alle facoltà dell’intelletto umano. So bene che starete pensando quanto sia arduo spiegare alle famiglie Cecchettin, Campanella, Sula di dover fare appello al raziocinio. Ma il diritto penale moderno obbedisce a principi illuministici che si sono sviluppati in un’epoca in cui si abbandonò progressivamente l’idea per cui la giustizia dovesse riposare sulla vendetta. Si abbandonò l’idea che ad un delitto efferato si dovesse contraccambiare col sangue.

Perché le 75 coltellate di Turetta non sono un’aggravante della crudeltà

A partire da quel momento – semplifico e me ne scuso – si fece prepotente la necessità, da un lato, di umanizzare il diritto penale e, dall’altro, di fare appello alla ragionevolezza del senno. La sentenza Turetta può essere spiegata alla luce di un orientamento della giurisprudenza ben consolidato che ritiene sussistente l’aggravante della crudeltà soltanto in presenza di una evidente volontà del carnefice di infliggere alla vittima ulteriori sofferenze rispetto alla morte. I tecnici del diritto direbbero che l’aggravante è presente soltanto quando le sofferenze fatte patire alla vittima costituiscono un quid pluris, un qualcosa in più rispetto alla consumazione del reato. Insomma, se fosse stata manifesta la volontà di Turetta di cagionare sofferenze ulteriori a Cecchettin, sarebbe stata riconosciuta l’aggravante della crudeltà. La vicenda di Giulia, in conclusione, ci lascia attoniti e continua a stordirci ma, di certo, questo non può essere il pretesto per un bieco populismo giudiziario. Il diritto non può essere ridotto a fantoccio del malpancismo generale. A maggior ragione quando il populismo viene praticato da rappresentanti della classe politica.

Francesco Di Palma

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