Ergastolo per Filippo Turetta. Il verdetto è arrivato questo pomeriggio, alle 16:03, dalla Corte d’assise presieduta da Stefano Manduzio. Un processo lampo, iniziato a settembre, durato cinque udienze. Il 23enne reo confesso di Torreglia, in provincia di Padova doveva rispondere dell’accusa di omicidio volontario aggravato da premeditazione, crudeltà (esclusa dalla condanna), efferatezza, stalking (esclusa dalla condanna), e occultamento di cadavere di Giulia Cecchettin, la sua ex fidanzata uccisa con 75 coltellate l’11 novembre 2023. Per lui l’accusa aveva chiesto l’ergastolo, la difesa, durante l’arringa, che cadessero le aggravanti e che venissero considerate le attenuanti generiche. Ora Per Turetta continuerà la detenzione iniziata a dicembre 2023 nel carcere di Montorio, a Verona. Tra le altre pene, Turetta è stato condannato anche a risarcire il padre di Giulia, Gino, con 5000 mila euro, 100 mila per la sorella Elena Cecchettin e 100mila per il fratello Davide Cecchettin oltre a 30mila ciascuno alla nonna Carla Gatto e allo zio Alessio, e alle spese di costituzione legale.

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Le prima parole di Gino Cecchettin

“La mia sensazione è che come società abbiamo perso tutti. Nessuno mi darà indietro Giulia, non sono più sollevato rispetto a ieri. È stata fatta giustizia  ma penso che dovremmo fare di più come essere umani. La violenza di genere non si combatte con le condanne ma con la prevenzione. Ho perso tutto, non mi aspetto scuse, il mio percorso è un altro”, ha dichiarato all’uscita dall’aula il padre di Giulia, Gino Cecchettin

La camera di consiglio durata sei ore ore

La mattinata si era aperta con la stretta di mano tra Gino Cecchettin e l’avvocato Giovanni Caruso, difensore di Filippo Turetta, che nelle scorse settimane era stato accusato di aver “umiliato la memoria di Giulia” nella sua arringa in cui sosteneva l’assenza di premeditazione e dell’aggravante della crudeltà. “Il mio punto di vista era quello di un genitore, lui stava facendo il suo lavoro. Ci siamo stretti la mano. In pace”, ha dichiarato oggi Gino Cecchettin. Un breve incontro prima dell’udienza che ha portato il collegio a riunirsi in camera di consiglio, alle 10. In aula presente Filippo Turetta, così come la settimana scorsa (nel giorno della requisitoria) vestito con felpa grigia e sguardo sempre basso. In aula erano presenti anche il padre di Giulia, Gino, lo zio Alessio e la nonna della ragazza Carla Gatto. Assenti il fratello Davide e la sorella Elena.

La difesa di Turetta

Per evitare l’ergastolo la difesa puntava sulla mancanza di premeditazione. Il legale aveva chiesto alla Corte di acquisire tutti gli atti del pm e non ha chiamato a parlare nessun testimone. “Non dovete comprendere Filippo, dovete mettere un argine, quello della legalità”, aveva detto l’avvocato Caruso. “Se c’è uno che non sa premeditare alcunché è Filippo Turetta. Non me ne voglia Filippo ma è insicuro. Che non ci sia stato nessun tipo di evento perturbativo – aggiungeva il legale – è comprovato dal fatto che si organizzato per andare ai concerti anche quando non stavano più insieme. Se avesse avuto paura per la sua incolumità avrebbe dato appuntamento lei al suo futuro omicidio il giorno 11 novembre 2023?”.

La requisitoria del pm

Dall’altra parte, nella requisitoria Il pm Andrea Petroni aveva detto una settimana fa di essersi sentito “preso in giro” dal giovane, sia nell’interrogatorio in carcere a Verona seguito all’arresto in Germania sia in quello in aula, nella precedente udienza. “Sono stati innumerevoli i tentativi di invitare l’imputato a dire quello che era successo”. Per il rappresentante della pubblica accusa era chiara la premeditazione (“difficile trovarne una più provata di questa, un caso di scuola con il piano pensato quattro giorni prima”), così come l’ aggravante dello stalking. Una requisitoria durate due ore e mezzo in cui il pm ha negato i possibili elementi difensivi. “Per Turetta – aveva aggiunto – anche per la giovane età ci sarà la possibilità di un’attenuazione futura”, ricordando che nel nostro ordinamento è previsto che si possa accedere dopo 26 anni alla liberazione anticipata e che anche nell’ergastolo è prevista la rieducazione. Prima di chiedere l’ergastolo la pubblica accusa aveva ricordato che la possibilità – da parte di Filippo – di scegliere: “Era di buona famiglia, andava nelle scuole che frequentano i nostri figli, aveva buoni voti, si stava per laureare in una facoltà complessa, aveva la macchina. Turetta non è una di quelle persone in debito con lo Stato. Aveva tutte le possibilità e gli strumenti culturali per scegliere”.

 

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