UE
Centri migranti in Albania, dalle “partite a burraco” dei poliziotti alla legittimazione del modello: “Farà da apripista nella gestione dei flussi”
Il Consiglio europeo dei ministri degli Interni ha finalmente messo un punto e dato il via libera, lo scorso 8 dicembre, a tre fondamentali tasselli sulle norme europee per la gestione della migrazione e il sistema comune di asilo. La svolta normativa (e soprattutto politica) da tempo auspicata per il nuovo Patto per la migrazione e l’asilo è arrivata. “Finalmente abbiamo ottenuto una lista europea di Paesi di origine sicuri, riformato completamente il concetto di Paese terzo sicuro e ci avviamo a realizzare un sistema europeo per i rimpatri realmente efficace”, ha commentato il ministro degli interni italiano, Matteo Piantedosi. Un passo in avanti cruciale, quello raggiunto dal Consiglio, per chiunque da anni denuncia i malfunzionamenti del sistema d’accoglienza europeo attuale, e anche una conferma del successo della linea finora portata avanti dal presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.
La nuova lista Ue di Paesi d’origine sicuri – dove oltre ai Paesi candidati alla adesione all’Ue si includono anche l’Egitto, la Tunisia e il Bangladesh (ossia i Paesi dai quali si registrano i maggiori arrivi in Italia) – è perfettamente in sintonia con i provvedimenti già adottati dal governo Meloni. Non solo: d’ora in avanti, gli Stati membri potranno applicare procedure accelerate di frontiera, proprio come previsto dal protocollo Italia-Albania, e gli eventuali ricorsi giudiziari non avranno più l’effetto sospensivo automatico della decisione di rimpatrio. A completare il quadro vi è poi luce verde alla possibilità di effettuare rimpatri anche verso Paesi terzi diversi da quelli di origine, utilizzando come luogo di transito – e non soltanto di arrivo – gli “hub” fuori dall’Ue.
I centri in Albania possono funzionare
In parole povere, ci sono tutte le premesse affinché i centri per i migranti in Albania, fortemente voluti dal governo Meloni, funzionino, con buona pace delle toghe rosse e della sinistra italiana. Tornano alla mente le dichiarazioni della segretaria del Partito democratico Elly Schlein, quando diceva “buttati 800 milioni per costruire prigioni vuote”; o ancora, riaffiorano l’ironia del presidente di Italia Viva Matteo Renzi (“ci sono cinquecento carabinieri e poliziotti che stanno in Albania a giocare a burraco”) e le parole allarmanti di Angelo Bonelli, leader di Alleanza Verdi-Sinistra, che definiva le strutture sulle coste albanesi – ricordiamolo, sotto giurisdizione italiana e quindi europea – “Guantanamo del Mediterraneo”. E invece no.
Ancora una volta, l’Ue ha compiuto il giro di boa, virando verso destra. Il modello Albania, da tempo in attesa di entrare in funzione, si trova ora inserito in un quadro normativo ben preciso che lo legittima pienamente. Non solo: i centri italiani si candidano a tutti gli effetti a divenire capofila di questa nuova visione per l’immigrazione dell’Ue. Per una gestione del fenomeno migratorio non più in costante emergenza ma, finalmente, con procedure definite e più snelle.
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