Giustizia
Paesi sicuri, Csm “a tutela” dei giudici: la pratica fa lo sgambetto al governo
Larga maggioranza al plenum per la toga Gattuso. È la prima risoluzione dai “calzini di Mesiano”
La voce ufficiale della casta contro il governo. Non sono più solo le “toghe rosse” a fronteggiare la maggioranza e le sue riforme, in testa quella sulla separazione delle carriere. Il voto di ieri al plenum del Csm, con i 26 togati di tutte le correnti politiche compatti a sostenere la propria corporazione, prima ancora che i giudici di Bologna e il loro provvedimento sui migranti, altro non è se non un’autodifesa di casta. Rafforzata dagli esponenti laici di sinistra, da sempre accasati e subalterni al volere delle toghe. E del resto, anche fuori dal palazzo di governo della magistratura, gli esponenti del Pd e dei cinquestelle non appaiono sempre come festosi scodinzolanti al desco delle toghe? E Angelo Bonelli non passa più tempo in procura che in Parlamento?
Non c’era bisogno neppure di una vera discussione al plenum di ieri, le carte erano tutte sul tavolo, e l’antipasto era stato servito a Bologna, proprio nei giorni precedenti le elezioni regionali, in quella singolare assemblea del sindacato Anm aperta alla cittadinanza, che aveva tributato una entusiastica standing ovation al giudice Marco Gattuso. Al giudice, che si è fatto notare anche per la sua assenza, che aveva rinviato alla corte di giustizia europea il decreto legge sui Paesi sicuri. Qualche antico giurista d’un tempo, di quelli che oggi sono molto rari, potrebbe far notare che i magistrati dovrebbero essere persone molto schive, restie al clamore del pubblico e a ogni forma di pubblicità, soprattutto se relativa ai loro provvedimenti di giustizia. Ma dai tempi del pubblico ministero Tonino Di Pietro le cose non vanno più così. Nei giorni di “Mani Pulite” i cittadini manifestavano intorno al palazzo di giustizia di Milano e scrivevano sui muri “Di Pietro facci sognare”.
Da Bologna a Roma, Palazzo Bachelet, sede del Csm, il passo non è lungo. La “pratica a tutela” dei giudici bolognesi ha puntato alto, e usato quel termine, pure di previsione costituzionale, che abitualmente è poco usato nelle assemblee sindacali dei magistrati, l’“imparzialità”, la cui mancanza sarebbe stata “adombrata” nei confronti delle toghe ribelli. Discorso scivoloso, di questi tempi, visto che tutti questi giudici di cui si discute per i loro provvedimenti sui trasferimenti dei migranti in Albania, appartengono alla corrente più a sinistra delle toghe, quella di Magistratura Democratica. E considerato anche che due consigliere laiche del Csm, Claudia Eccher e Isabella Bertolini hanno chiesto interventi sia sul piano disciplinare che su quello dell’incompatibilità contro il procuratore aggiunto di Reggio Calabria e segretario di Md Stefano Musolino. Parlano troppo questi magistrati? Partecipano a troppe iniziative politiche contro il governo? Potrebbero chiedere un parere ai loro colleghi tedeschi, per esempio, visto che in Germania nessun magistrato può comunicare all’esterno, e ogni palazzo di giustizia ha solo un portavoce. Su una cosa hanno però ragione, perché qualche organo di informazione ha anche diffuso, proprio sul giudice Gattuso, informazioni sulla sua vita personale del tutto inutili e ininfluenti.
Un po’ come era capitato con la storia del colore dei calzini del giudice Mesiano, l’ultima volta in cui il Csm votò una patica a tutela, nel 2009.
Ma va anche detto che qualunque intervento del governo viene preso di mira dalla magistratura associata o anche da singole toghe, sempre accompagnate dal coro delle prefiche del Pd o affini. Per esempio sul progetto di un emendamento per spostare la competenza sui rimpatri urgenti dai tribunali alle corti d’appello. Immediatamente infatti, nonostante le rassicurazioni del ministro Nordio, i 26 presidenti delle corti d’appello, prima ancora di conoscere il provvedimento e di avere la certezza che la proposta sia approvata, hanno scritto al Presidente Mattarella e a tutti i vertici istituzionali, per lamentare il pericolo di un sovraccarico di lavoro.
Ancora un po’ di benzina sul fuoco.
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