Adattamento ai cambiamenti
I dazi funzioneranno davvero? La gigantesca scommessa che può rovinare Trump

Negli ultimi giorni il dibattito pubblico è stato investito di notizie, flash, immagini, tabelle riguardanti i dazi della nuova America della Golden Age Trumpiana. Un tema molto importante però deve essere dibattuto, ovvero, funzioneranno davvero? Tralasciamo per qualche istante il nostro punto di vista da italiani ed europei. Guardiamo la situazione da americani. Con un’attenzione fortissima alla forza e alla solidità dell’economia.
Fuori dalla realtà
Tutto ciò che ha fatto finora Donald Trump è stato creare il caos, non lasciare nessun tipo di spazio a interpretazioni o a riflessioni che superino il brevissimo periodo, bombardando ogni piattaforma mediatica di dati, teorie, dichiarazioni più o meno roboanti e più o meno smentite dalla realtà. Ed è proprio questo che potrebbe danneggiare maggiormente la riuscita di quello che pare essere il principale obiettivo dei dazi statunitensi: riportare le imprese a produrre in America. Dopo che Trump è tornato presidente, i dazi sono stati annunciati, salvo poi essere ritirati con promesse vaghe o citando concessioni in realtà slegate alla minaccia commerciale (si pensi al Canada e ai suoi investimenti sui confini, approvati prima dell’inizio del secondo mandato e poi spacciato dagli statunitensi come vittoria strappata grazie al grande lavoro diplomatico dell’amministrazione Trump), ma adesso sono realtà.
L’adattamento ai cambiamenti
Se l’unico orizzonte temporale considerato è la giornata, e se in poche ore può cambiare completamente lo scenario globale, come si può pensare che le imprese possano essere convinte ad investire? Di solito, di fronte a nuove leggi, direttive o regolamentazioni ci sono molteplici esperti che si occupano di capire come ci si potrà adattare nel lungo periodo ai cambiamenti. In questo caso, dove oggi ci sono dei dazi che partono dal 10%, ma dove nessuno sa se ci saranno anche solo tra sei mesi, come si riuscirà a pianificare il lungo periodo, orizzonte temporale fondamentale per il quale le imprese allocano grandi quantità di risorse per investimenti? Il segretario al Commercio Lutnick e altri rappresentanti dell’amministrazione Trump hanno detto che i dazi sono il primo passo verso una riorganizzazione del commercio internazionale e probabilmente sarà anche così, seppur non nel senso in cui lo intendono loro.
Segnali poco ancoraggianti
Ciò di cui pare abbiano sottovalutato la rilevanza è proprio la razionalità con cui il settore industriale ragiona e prende decisioni, oltre ad una serie di necessità puramente pratiche che impediscono alle imprese di poter rilocare la loro produzione in tempi rapidi. E se pensiamo al crollo delle borse di giovedì, oltre ad altre notizie come i 900 licenziati negli Stati Uniti da parte di Stellantis (allora non siamo gli unici!), avvenuti a causa della temporanea sospensione della produzione negli stabilimenti in Canada ed in Messico, i primi segnali che arrivano risultano tutt’altro che incoraggianti.
America “affordable again”
Inoltre, ritornando all’inflazione, perdere la promessa elettorale di rendere l’America “affordable again” potrebbe avere effetti pesantissimi sul Partito Repubblicano, che già in questi giorni, in due elezioni speciali in Florida, hanno visto i loro margini di vittoria restringersi di quasi 15 punti nei confronti di un Partito Democratico che pure non sembra in forma smagliante. Sarà il tempo a dirci quale sarà il risultato dei dazi, se sarà una gigantesca scommessa che porterà a colossali dividendi economici e quindi elettorali, oppure se la teoria del caos perenne porterà alla rovina delle aspirazioni di Donald Trump, dopo esserne stato il principale teorico e soprattutto il principale beneficiario.
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