Il vaso di coccio fra i vasi di ferro ha ispirato tante illustri penne, da Esopo a La Fontaine fino a Manzoni. Ma se ad essere di coccio è la politica, nel quadrilatero dei poteri che la vede stritolata fra economia, giustizia e media, il problema va oltre le favole e i romanzi. Diventa un problema di democrazia effettiva. Ogni bollettino di crisi conferma che le decisioni vere ormai non provengono più da governi e parlamenti, che anzi, in perfetto stile coreano, si ricordano di alzare la voce solo per gli accesi derby fra esecutivo e legislativo.

Automotive, il Covid non è finito

A dettare la linea sono i mercati e le corti, nazionali ed extranazionali. Un trend non solo italiano. Lo conferma il black out francese: dopo la velleitaria gestione-Macron del post voto europeo, oggi i tempi della crisi di governo sono imposti da una sentenza che riguarda Marine Le Pen. La crisi dell’automotive, intanto, esplode in Italia e in Germania con un fragore inaudito, e sembra seguire l’itinerario della siderurgia, dei trasporti aerei e di altre componenti di un’industria “per cui il Covid non è finito”, come affermano Fotina e Trovati sul Sole 24 Ore: in Italia produzione sotto di quasi il 3 per cento rispetto al 2019.

Un’economia che definire matura è ormai un eufemismo, la parola giusta è “decotta”. E mentre si fanno i conti degli aiuti pubblici inutilmente erogati a Fca-Stellantis – oltre un miliardo di euro -, e mentre l’Unione si lecca le ferite dell’abbaglio auto elettrica, pesa la rinuncia a investire nelle nuove tecnologie e nelle start up dell’Intelligenza artificiale. Si preferisce fissarsi su regole, limiti e divieti a ciò che ancora non si conosce. Le big tech, già tradizionalmente sciolte da vincoli legislativi e persino fiscali, si vedono ora liberate anche da pericoli di concorrenza.

I giudici diventano bussola

Le Corti, nel frattempo, indirizzano le scelte politiche in modo pervasivo, contando sul dilettantismo di molte trovate dei governi, dai migranti da trasferire in Albania decidendo da soli quali paesi sono sicuri fi no ad un’autonomia regionale che non garantisce le prestazioni minime su tutto il territorio nazionale. L’altro tribunale, quello mediatico, dal canto suo, non abbassa mai la canna del fucile, come un pescecane che avverte l’odore del sangue. Rialzare la testa si può, ma bisognerebbe riabituarsi a decisioni forti, nitide e anche impopolari.

La strada Draghi

Nel rapporto sulla competitività dello scorso settembre, Mario Draghi lo dice senza eufemismi: “Con il mondo sull’orlo della rivoluzione dell’IA, l’Europa non può permettersi di rimanere bloccata nelle ‘tecnologie e industrie di mezzo’ del secolo precedente”. E indica tre vie: investire il 5% del pil europeo nella transizione ecologica e digitale, rafforzare la difesa comune, ridurre le dipendenze, soprattutto dalla Cina. Per far questo bisogna decidere a maggioranza e non più all’unanimità, e avere una politica industriale comune che favorisca e non limiti le fusioni. Ecco: di fronte ad un tecnico che fa politica, la politica che fa? Si divide, perché l’unione fa la forza e la forza fa paura.