30 denari
Bisogna fare presto
Perché l’automotive è in crisi, le colpe dell’Unione Europea e il Piano Marshall per salvare gli operai e uscire dal baratro del “Green deal”
Un robusto piano di investimenti a sostegno delle aziende, che renda più accessibile l’acquisto di auto. Serve affrontare la Cina e ridurre la dipendenza dall’estero, superando i dogmi ideologici del green
Quando nel marzo dello scorso anno l’Unione europea votò la fine dei motori termici per il 2035, l’Italia si astenne e a votare contro fu solo la Polonia. Tra i maggiori promotori, ottenuto un cambiamento sugli “elettro carburanti”, anche la Germania votò a favore. Chissà se a diciotto mesi di distanza, i diversi ministri dell’Unione sono ancora d’accordo con quel voto vista la crisi drammatica in cui versa l’industria automotive del vecchio Continente. Molti ci stanno ripensando. Basti pensare che proprio l’Italia, insieme ad altri sette Paesi, ha chiesto a Bruxelles di rivedere la decisione e di riaprire un tavolo per rinviare questa data in linea con l’attuale crisi del comparto.
Gli errori dell’Europa
La crisi dell’automotive in Europa si basa su diverse ragioni. Anzitutto, secondo molti analisti, è una delle peggiori che l’industria sta vivendo dal secondo dopo guerra. È come se tutti i nodi fossero arrivati al pettine contemporaneamente: la mancanza di innovazione, la delocalizzazione selvaggia, l’aver puntato troppo sui mercati emergenti, il ritardo sull’elettrico e un enorme aggravio dei costi delle materie prime rappresentano il quadro di insieme che spiega il momento. Ad esso, però, va aggiunta la svolta ideologica “estrema” che la prima Commissione von der Leyen ha imposto proprio all’automotive. Quel “green deal” che avrebbe dovuto rilanciare il vecchio Continente e porlo alla testa di un nuovo paradigma di sviluppo, si è rivelato una prigione che ha bloccato le aziende del settore, confuso i cittadini e frenato l’intervento degli Stati nazionali a sostegno della filiera.
La cosa più sorprendente è che molti grandi produttori, come l’oramai ex amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, hanno giudicato positivamente la svolta “elettrica” dell’Europa. Peccato, però, che come spesso avviene l’Unione impone regole, blocchi, adempimenti, ma si dimentica di finanziare la svolta ecologica. Ecco dunque che la corsa verso il baratro del comparto è stato agevolata, se non guidata, proprio dai vertici europei che, come spesso capita, si sono mostrati rigidi nei confronti delle obiezioni che di volta in volta venivano mosse rispetto a tale impostazione.
La svolta “elettrica” e la corsa verso il baratro
La prima è che l’Europa, da sola, non può in alcun modo intervenire per diminuire la quantità di emissioni inquinanti al mondo: se non si convincono Cina, Stati Uniti e India è una battaglia contro i mulini a vento. La seconda riguarda i tempi: dieci anni per abbandonare il motore termico e imporre la produzione elettrica in un settore nel quale nessuna delle case produttrici è all’avanguardia è una scelta velleitaria. La terza responsabilità dell’Unione è diretta alla valutazione dei costi. Come sa chiunque studia le svolte industriali, nei primi tempi di introduzione le innovazioni tecnologiche hanno costi enormi. Con la loro diffusione, grazie alle economie di scala, i costi medi unitari diminuiscono e le innovazioni diventano accessibili al grande pubblico. Per aiutare la svolta, dunque, Bruxelles avrebbe dovuto mettere sul piatto moneta sonante e non limitarsi a impegni o ai pochi spiccioli stanziati fino ad ora.
Se a questo si aggiunge la concorrenza spietata della Cina, ecco che il quadro è completo. Su questo punto, il più chiaro è stato l’amministratore delegato di Renault, Luca De Meo: “Noi non siamo in grado di competere” – ha aggiunto – “Senza il sostegno delle imprese cinesi che controllano le materie prime, i prodotti chimici per il settore”. Insomma, una settore del tutto dipendente da Pechino.
Svolta
La svolta però è possibile e per farla serve buon senso e impegno concreto. Essa deve partire proprio dalla Commissione europea che in passato ha agevolato questa situazione disastrosa: un vero piano Marshall per il comparto. Bisogna procedere con il rinvio della fine del motore termico fissata ad oggi per il 2035: termine troppo vicino per aiutare a superare la crisi che stiamo vivendo.
Bisogna poi studiare un piano di agevolazioni per le case produttrici affinché velocizzino la svolta tecnologica riuscendo a tenere sotto controllo gli enormi costi necessari a questo obiettivo. Allo stesso tempo, come hanno fatto da tempo gli Stati Uniti, l’Unione dovrebbe promuovere un “rientro” delle produzioni in Europa al fine di evitare di esportare valore verso l’Estremo Oriente. Infine, serve un piano di incentivi per i cittadini. Gli attuali costi di acquisto delle auto sono troppo esagerati e se non si interviene, il modello di automotive come lo abbiamo conosciuto nell’ultimo secolo cesserà di esistere. Bisogna fare presto e qualcuno deve convincere Bruxelles prima che tutto venga giù.
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