Nello scenario economico globale si registra un grande assente: l’Unione europea. Ecco perché da oggi gli occhi saranno tutti puntati sulla nuova Commissione presieduta da Ursula von der Leyen. Il voto dell’Europarlamento sancisce la nascita del secondo tempo dell’esecutivo comunitario che ha davanti a sé enormi sfide per garantire il futuro del Vecchio Continente.

Errori


La prima Commissione von der Leyen ha avuto un importante merito: riuscire a unificare l’Europa davanti alla sfida del Covid. La sospensione del Patto di stabilità per consentire agli Stati membri di mettere sul tappeto gli interventi per affrontare la pandemia e sostenere il reddito dei cittadini e l’introduzione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Next Generation Eu) sono di certo i due più grandi successi del primo mandato dell’esponente del Partito popolare europeo.

Non solo cose positive. Il più grande errore, ad esempio, è quello di aver ceduto alla “deriva ideologica” legata al varo del Green Deal europeo. Annunciato in pompa magna nel 2019, esso avrebbe dovuto garantire la svolta ambientalista mettendo sul piatto incentivi e politiche industriali per consentire alle aziende di abbracciare la nuova filosofia “verde”. Fortemente voluto da Frans Timmermans, il programma green europeo si è rivelato un tremendo boomerang. Anzitutto ha bloccato lo sviluppo industriale, imponendo la fine del motore endotermico per il 2035. Il risultato? È sotto gli occhi di tutti: l’automotive europeo è in ginocchio da almeno 18 mesi. L’errore maggiore, però, è stato annunciare un piano da 1.800 miliardi di euro e mettere nel piatto solo pochi spiccioli.

Usa e Cina


In confronto ai programmi economici degli Stati Uniti e della Cina, quello europeo si è rivelato un pannicello caldo incapace di affrontare le sfide del futuro. Basti pensare, ad esempio, che con il Chips Act varato da Joe Biden gli Usa hanno messo sul tappeto circa 1.000 miliardi di dollari per favorire il ritorno dell’industria digitale nel territorio americano. E come non valutare positivamente gli aiuti che il governo cinese continua a dare alle proprie aziende strategiche, tanto che Pechino è diventato il principale produttore industriale di asset green? In tutto questo che ha fatto l’Europa? Ha regolamentato, imposto direttive, approvato norme che hanno sempre di più limitato la libertà di impresa e fatto spostare l’asse industriale verso Washington e l’Estremo Oriente. Il problema principale è che il Green Deal europeo ha stanziato e consentito di utilizzare poche risorse.

Sul filo di lana


Ancora, l’Europa si trova ad affrontare un’ulteriore sfida. Se la Cina è diventata il primo hub di produzione green (basti pensare che il 70% delle batterie per le auto elettriche è made in Pechino), gli Stati Uniti hanno consolidato il loro sviluppo sul digitale, l’Intelligenza Artificiale e l’aerospazio. Quale sarà dunque il ruolo del Vecchio Continente? Che futuro ha in mente la nuova Commissione europea? La maggioranza politica che sostiene von der Leyen è evidentemente spostata più a destra. Come farà allora la presidente della Commissione a far convivere le due anime economiche che sostengono la sua maggioranza? Ci riferiamo all’anima “verde” e a quella che invece vorrebbe che fosse il mercato a scegliere il proprio salto tecnologico senza costrizioni, regolamenti o limitazioni. Insomma, quando si dovrà rifinanziare il Green Deal, che farà il Ppe? E il gruppo Ecr che fa capo a Giorgia Meloni? Allo stesso tempo: i socialisti saranno d’accordo a mettere da parte la visione ideologica legata allo sviluppo green?

Mario Draghi


Eppure non c’è molto lavoro da fare. Gran parte, infatti, lo ha elaborato l’ex numero uno della Banca centrale europea, Mario Draghi nel suo Rapporto per la competitività dell’industria europeo richiesto proprio da Ursula. Nella sua analisi, Draghi evidenzia l’urgenza per l’Europa di dotarsi di un meccanismo di investimenti comuni, e quindi di debito comune, che consenta alle aziende europee di affrontare la temibile concorrenza globale di Cina e Stati Uniti. Un programma da 800 miliardi di euro che potrebbe essere immediatamente operativo e che riguarda i finanziamenti per l’industria, la Difesa, il digitale e il green. Anche in questo caso, però, ci sarebbero degli enormi ostacoli da superare. Uno su tutti l’idiosincrasia dei paesi “frugali” contro il debito comune. Eppure questo è il momento delle scelte, vista la posta in palio: il futuro industriale e sociale dell’Europa.

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